AGGIORNAMENTO – La Provincia di Piacenza e Parma, che riunisce i territori di Piacenza e Parma, la Provincia di Reggio Emilia e Modena, che comprende i territori di Reggio Emilia e Modena, la Provincia di Ferrara, la città Metropolitana di Bologna e la Provincia di Romagna, che unisce i territori di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. E’ questa l’ipotesi di riordino approvata questa mattina a Bologna nel corso della riunione del Consiglio delle autonomie locali della Regione Emilia Romagna. Dei 39 amministratori presenti, 33 hanno espresso voto favorevole, uno si è astenuto (il sindaco di Parma Federico Pizzarotti) e 5 non hanno partecipato al voto (tra questi i presidenti delle Province di Bologna e Reggio, Beatrice Draghetti e Sonia Masini).
L’ipotesi di riordino, già anticipata nei giorni scorsi al termine dei due precedenti incontri dell’ufficio di presidenza del Cal, ha ottenuto il voto favorevole dei quattro rappresentanti piacentini che questa mattina hanno preso parte al vertice bolognese: il presidente della Provincia Massimo Trespidi, il sindaco di Piacenza Paolo Dosi, il sindaco di Pecorara Franco Albertini e il sindaco di Vernasca Gianluigi Molinari.
L’ipotesi di riordino verrà ora spedita alla Regione Emilia Romagna, che avrà tempo per esprimersi fino al prossimo 23 ottobre. Il piano dovrà poi essere inviato al governo entro il 31 ottobre: la partita, a quel punto, si sposterà sul tavolo nazionale.
“Il sistema piacentino – ha detto il presidente Trespidi nel corso del suo lungo intervento – è riuscito a scongiurare in modo compatto un’ipotesi sciagurata come quella della costituzione della maxi-Provincia da Piacenza fino a Modena; ipotesi in cui non credo perchè troppo vasta territorialmente con i suoi più di due milioni di abitanti. Con una soluzione del genere unita a una Provincia che comprende tutta la Romagna bisognerebbe ridefinire i confini della stessa regione”. “C’è un imbarazzo enorme – ha continuato Trespidi – che aleggia in questa sala: oggi votiamo infatti un’ipotesi di riordino che fa parte di una riforma a cui non crede nessuno; una riforma, occorre dirlo, che non può funzionare. I primi a saperlo sono gli stessi amministratori e chi ha a cuore il governo degli enti. Potremmo definire questa una fase transitoria solo se ci fosse un punto di arrivo certo: purtroppo, al contrario, ci stiamo infilando in un vicolo cieco su cui pendono, è bene ricordarlo, ricorsi di Province e di Regioni. Sul riordino degli enti locali avrebbe dovuto aprirsi una fase costituente che prevedesse una riforma a partire dai Comuni fino alle Regioni oppure, viceversa, dalle Regioni fino ai Comuni, Province comprese. Così non è stato: siamo di fronte a un provvedimento che lo stesso segretario del Pd Pierluigi Bersani ha definito portatore di ‘una visione dell’autonomia locale che è un abborracciamento confuso’. A ciò si aggiunge, a mio avviso, una valutazione congiunta di Regioni e Anci (Associazione nazionale comuni italiani) che hanno pensato di poter sfruttare l’onda populistica e mediatica nell’opinione pubblica e dividersi le spoglie delle Province pensando così di evitare di finire loro stessi nel tritacarne mediatico; una valutazione sbagliata alla luce dell’attuale caos che sta colpendo le stesse Regioni”.
“Non sono convinto – ha concluso il presidente Trespidi – che questo riordino arriverà alla fine: e ricordo a tutti che la fase più importante che ci attende sarà quella parlamentare dove i rappresentanti dei cittadini saranno chiamati ad esprimersi su una riforma che non ha né capo né coda. Spero invece che si dia finalmente inizio ad una necessaria e non più rinviabile fase costituente che ponga mano a un riordino e a una riforma complessiva e organica delle istituzioni dello Stato di cui il Paese ha assoluto bisogno e che serva veramente a snellire e a semplificare l’azione dello Stato. Penso poi soprattutto alla questione del personale degli enti coinvolti nel riordino: proseguendo su questa strada le professionalità migliori rischiano di abbandonare le Province mettendo a rischio lo stesso servizio. Non credo, come invece sostiene il sindaco di Reggio Emilia Delrio che esista la necessità di ulteriori tavoli di approfondimento; ritengo invece che sia necessario attendere la decisione del parlamento e della Corte Costituzionale. Non abbiamo bisogno di una riforma per cui possiamo accontentarci di un riordino qualsiasi: serve una riforma vera e non questo pasticcio che non prevede nessun risparmio concreto”.
“Ho chiesto – ha infine precisato il presidente Trespidi – che la delibera del Consiglio provinciale di Piacenza che avvia l’iter per l’indizione del referendum per la scelta tra Emilia-Romagna e Lombardia fosse allegata alla documentazione destinata alla Regione”.
Il Consiglio delle autonomie locali (Cal) dell’Emilia-Romagna ha approvato oggi il documento sul riordino delle Province che la Regione, entro il 23 ottobre, dovrà inviare sotto forma di proposta al Governo. Nessuna sorpresa nello schema affidato al documento, che delinea un assetto regionale composto da Citta’ metropolitana di Bologna, Provincia di Piacenza e Parma, Provincia di Reggio Emilia e Modena, Provincia di Ferrara e Provincia unica romagnola. Su 39 presenti, il documento è stato approvato con 33 voti favorevoli: si aggiunge l’astensione del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, oltre a cinque dichiarazioni che hanno messo a verbale l’intenzione di non partecipare al voto (Beatrice Draghetti e Sonia Masini, rispettivamente presidente della Provincia di Bologna e presidente della Provincia di Reggio Emilia, piu’ tre sindaci del reggiano). Il sindaco di Reggio, Graziano Delrio, aveva lasciato l’assemblea prima di arrivare al momento del voto.
Marcella Zappaterra, presidente del Cal e della Provincia di Ferrara, subito dopo il voto si definisce “soddisfatta per la larga condivisione” ottenuta dal documento.
“Abbiamo scongiurato l’ipotesi di Grande Emilia” ha affermato il presidente della Provincia, Massimo Trespidi. Il quale ha poi aggiunto: “Ho anche chiesto che fosse allegata la delibera del Consiglio provinciale che avvia l’iter dell’indizione del referendum per passare in Lombardia”. In sostanza, per Trespidi “abbiamo scelto il male minore”.