Ha chiuso Moni Ovadia la prima, frizzante, giornata del Festival del Diritto. Nel salone di palazzo Gotico è andato in scena il dialogo con il noto attore teatrale e intellettuale, intervenuto sul tema “Noi, gli altri”. Poco prima che raggiungesse il palco, lo abbiamo intervistato ai microfoni di Radio Sound.
La mancata accoglienza dell’altro è la grande patologia che ha portato i maggiori problemi all’umanità. Per questo la domanda dalla quale si è partiti è stata, ma chi è l’altro? E’ davvero il corpo estraneo che destabilizza le certezze acquisite. “L’altro è la manifestazione altra dell’universale umano. Ma anche dell’universale vita – ha spiegato Moni Ovadia – allora l’altro è quello che viene da una cultura altra che si esprime diversamente ma fa parte dell’universale umano. Esiste solo un essere, senza razze. Una sola, come diceva Einstein: razza umana”.
Troppo spesso oggi, nella nostra società, lo si tollera purché si omologhi. Purché riconosca di essere un’anomalia. “Questo equivoco è stato fonte di guerre, odi, massacri, a partire dall’altro che si manifesta dal nostro essere uniformi” ha affermato Ovadia.
Un equivoco ben visibile, dalle rivolte arabe, a quelle per il lavoro. Noi nella nostra città abbiamo avuto una specie di Primavera araba con le proteste dei facchini, migliaia nel Polo logistico dove venivano trattati senza diritti. Come lo ritiene possibile? “La dimensione del conflitto appartiene all’umanità. Il problema è trasferire il conflitto su un livello più alto. Allora diventa dialettica, dialogo vigoroso. Va bene confrontarsi arricchendosi. Invece quando si scende verso il basso, nel livello della violenza e del sangue è un regresso. Dobbiamo crescere dialetticamente. Migliorerà anche la nostra esistenza” ha concluso Moni Ovadia.