Processo Filosa: “10mila euro al mese per non avere problemi”

“Salerno e Filosa mi costavano circa 10mila euro al mese. Ma da quando ho cominciato a pagare Filosa non ho più avuto problemi”. Fausto Bianchi, l’imprenditore piacentino è stato sentito oggi, 25 settembre, in aula nell’ambito del processo ad Alfonso Filosa, l’ex direttore della Direzione provinciale del lavoro arrestato nel giugno 2009 dai carabinieri per corruzione, concussione e rivelazione di segreti d’ufficio. L’imprenditore, che sta scontando una pena per bancarotta e che è già stato condannato per questa inchiesta (attende il ricorso in Appello), ha raccontato i suoi rapporti con Filosa fin da quando lo ha conosciuto. Con Filosa, il processo vede anche imputato l’imprenditore milanese Morgan Fumagalli, accusato di corruzione. Oltre a Bianchi, oggi sono stati ascoltati come testimoni il luogotenente Pietro Santini, del Nucleo investigativo dell’Arma, la ex moglie di Bianchi, Giuseppina Rosella e il maresciallo della Guardia di finanza Pietro Riso, oltre al commercialista Giuseppe Avella.

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Lunga la deposizione di Bianchi che con calma e schiettezza ha risposto alle domande del pubblico ministero Antonio Colonna e a quelle dei difensori di Filosa, gli avvocati Luigi Alibrandi e Benedetto Ricciardi. E la difesa ha riscontrato alcune contraddizioni nei suoi racconti.

In totale, ha detto Bianchi, “ho versato a Filosa tra i 70 e gli 80mila euro, ogni volta che lo interpellavo per un problema, lo pagavo 2500-3000 euro”. L’imprenditore, aveva cooperative nel settore delle pulizie industriali, aveva conosciuto Filosa grazie a Gerardo Mainardi (anche lui coinvolto nell’inchiesta, fu l’uomo fermato dai militari dopo aver consegnato un assegno nell’ufficio di Filosa, tutto sotto gli occhi delle telecamere dei carabinieri). Mainardi disse che poteva aiutarlo a risolvere alcuni problemi. “Pensavo fossero consigli – ha affermato Bianchi – invece capii che si trattava di evitare controlli dell’Ispettorato del lavoro ed escamotage. Pagavo Filosa, e anche Salerno (Gianni, all’epoca segretario provinciale della Cisl, ndr), con assegni o in contanti. A volte gli assegni era post datati o scoperti e io gli telefonava quando sul conto c’erano i soldi per incassarli”. Bianchi ha parlato delle forti pressioni di Filosa e che quando i soldi non c’erano lui si “alterava. Mi diceva che se non pago non ti posso aiutare, arrangiati”.

E ancora. Bianchi aveva diverse società La Nuova Pulicenter, la Bianchi spa e per pochi mesi la General Service. Quando le imprese erano con l’acqua alla gola, su suggerimento di Salerno e Filosa, le chiudeva, licenziava il personale e lo riassumeva nella nuova azienda. Una consulenza, questa, pagata 30mila euro. “Diecimila li pagai subito – ha detto in aula – e diedi 5000 in contanti a Salerno e due assegni da 2500 a Filosa”. Inoltre, il personale veniva tutto iscritto alla Cisl. In questo modo, la mobilità dei lavoratori veniva accettata subito.

Poi, Bianchi ha ricordato la falsificazione del Durc (Documento unico di regolarità contributiva) che gli era stato chiesto dal gruppo Bennett e altri. Filosa, ha affermato Bianchi, gliene ha fatto avere uno di una ditta in regola e gli ha spiegato come cambiare i dati.

Tutta le dichiarazioni di Bianchi sono state confermate, anche se tra qualche non ricordo, dalla ex moglie Rosella. La donna, all’epoca era un’impiegata e si occupava del personale. Ha confermato le cifre e detto di aver lei stessa consegnato buste di soldi- “e sapevo cosa contenevano” – a Filosa, che vedeva spesso in azienda a Monticelli. Più tardi, ha raccontato la donna, ho saputo qual era il ruolo di Filosa. “E se non si pagava – ha detti ai giudici – le pressioni erano forti. Filosa diceva che ci avrebbe fatto chiudere”.

La donna ha anche ricordato la falsificazione dei Durc. Fotocopie di originali a cui venivano sostituiti il nome dell’azienda e la matricola, con il bianchetto e usando gli stessi caratteri della macchina per scrivere. Poi, una nuova fotocopia del documento “rigenerato” e il gioco era fatto. La donna ha ricordato anche il pagamento, a cui ha assistito da dietro un vetro nell’ufficio di Bianchi, per la concessione della mobilità dei lavoratori: “Bianchi ha consegnato due buste a Salerno e Filosa. La mobilità era utile, perché la nuova azienda non pagava contributi se assumeva persone licenziate”.

Infine, il maresciallo della Finanza ha parlato della società della figlia di Filosa, che aveva la sede sociale nello studio di un commercialista. Tanti soldi per le consulenze avuti da tante aziende, anche se non sempre l’opera prestata era poi di qualità. E con la carta di credito aziendale, ha documentato la Finanza, venivano fatte spese: arredamento, ristoranti, materiale elettronico e due auto in leasing, una Jaguar e una Fiat 500.