L’accorpamento delle province e la conseguente “sparizione” di quella piacentina sta continuando a scaldare gli animi in una bagarre di opinioni che non accenna a placarsi. Sul tema, dopo Bergonzi (Pd), interviene anche Luigi Gazzola dell’Idv piacentino.
Di seguito pubblichiamo la sua nota
“L’accalorato dibattito agostano sulle sorti della Provincia prosegue in un quadro di grande confusione che non fa che alimentare la sfiducia dei cittadini nei confronti della politica e delle Istituzioni.
Sui siti e sul quotidiano locali si leggono dichiarazioni sorprendenti. Il presidente Trespidi, pronto a ricorre al TAR e a indire un referendum, afferma – qualora la Camera avesse confermato le province come enti di II livello e i consigli provinciali non fossero più eletti dal popolo -: “auspico, a titolo personale, che queste Province, allora sì veramente inutili, vengano abolite tutte”. L’on Foti, non da meno, sostiene: “Sono sempre stato e continuo ad essere favorevole all’abolizione di tutte le Province”. Segue, da ultimo, il segretario del PD, Silva: “anche noi crediamo che questo accorpamento di province non servirà a nulla, sarebbe stato meglio eliminarle tutte”.
Ma non era dell’Italia dei Valori la proposta populista e demagogica di abolire tutte le province?
Lasciamo ai cittadini ogni considerazione tra dichiarazioni e comportamenti dei singoli e dei loro partiti e di distinguere tra chi vende fumo e chi invece fa delle proposte per ridurre il disagio dei cittadini, mettendo risorse a vantaggio di chi fatica a tirare la fine del mese.
Sono decenni che si discute di innovazioni istituzionali. Il tema andrebbe (o andava) inserito in un quadro che riguardasse complessivamente il funzionamento degli enti locali Ora l’urgenza dipende da esigenze di cassa. Si tratta di recuperare risorse finanziarie. La riforma avrebbe dovuto avere carattere organico, ma c’è un’urgenza a cui far fronte.
Ma a che punto è la discussione sulla riforma delle autonomie, sul codice delle autonomie? A chi toccava farla? E perché non è stata fatta? Perché questi partiti non sono in grado, non hanno né la volontà né la forza di farlo. Dovevano pensarci gli abolizionisti della campagna elettorale, che oggi invece assumono posizioni opposte o meglio tengono i piedi in due scarpe. A Roma fanno una cosa, a Piacenza ne dicono un’altra. Il tempo c’era. Oggi non c’è più. Oggi c’è solo questo approccio, parziale e approssimativo, di dubbia legittimità costituzionale, che non soddisfa. E che fa dire: se le cose stanno così, allora tanto vale abolirle tutte. Davvero è anche una questione di serietà verso i cittadini. Sarebbe bastato per non trovarsi nell’impasse che il 5 luglio 2011 la Camera avesse votato a favore della proposta dell’IdV che cancellava le parole «le province» dal Titolo V della Costituzione . Purtroppo votò contro la maggioranza berlusconiana e si astenne il PD.
Il tema della soppressione delle province non è particolarmente sentito dai cittadini. Sono i politici che lo pensano perché non hanno più il polso della situazione, il contatto con le persone. Il comune cittadino ha a che fare con una pletora di livelli istituzionali (circoscrizione, comune, provincia, città metropolitana, consorzi di comuni, comunità montane, consorzi di bonifica, enti parco, ATO dell’acqua e dei rifiuti, ausl, regione, stato, unione europea) che ritiene ormai servono soltanto ad alimentare la tassa della politica e non a dar loro un servizio.
Benchè dunque nella percezione di tanti cittadini non si capisca a cosa serva la provincia, la risposta è una politica sclerotizzata che vede nello status quo una garanzia di mantenimento del potere e di mantenimento degli asset organizzativi della burocrazia.
Quando una famiglia non riesce più mantenere il proprio tenore di vita, inizia a ridurre le spese. Noi pensiamo si possa fare la stessa cosa con le province che possono attribuire le proprie funzioni a comuni e regioni. Sosteniamo questa posizione con grande responsabilità perché ci rendiamo conto che ormai i tempi sono maturi e improcrastinabili. Si tratta di essere credibili verso i cittadini e di dire loro la verità senza infingimenti. Bisogna avere il coraggio, in momenti di difficoltà e di crisi e in cui la spesa pubblica continua ad aumentare oltre ogni limite di programmazione e di previsione del governo, di tagliare e di ridurre senza mettere sistematicamente le mani nelle tasche dei cittadini. Quando le risorse non sono sufficienti, quando ci sono milioni di persone che non hanno lavoro e che non hanno i soldi per arrivare alla fine del mese, forse la politica e chi ha responsabilità di governo e di essere classe dirigente di questo Paese per primi devono dare l’esempio che si sa fare anche una cura dimagrante.
In questo senso non meritano attenzione ipotesi di ricorsi al TAR o di referendum tra la popolazione inutilmente costosi e ulteriormente disgreganti, si tratta semmai di avviare una discussione, anziché delle chiacchiere, per formulare un progetto che consideri la ricchezza del territorio legata alla sua capacità di sviluppo e trasformare in opportunità per il nostro territorio la modifica introdotta dalla novella normativa – a nostro parere, si ribadisce, parziale e insoddisfacente – per far fronte all’inevitabile impoverimento del territorio in termini di posti di lavoro, indotto, ecc. conseguente all’eventuale venir meno di altri presidi statali”.