Trentatrè anni di storia e non sentirli, la magia dei Cure infiamma l’Heineken

Otto bagni chimici per 24 mila spettatori. Se vogliamo parlare di numeri, questi gli “impietosi” della serata di sabato all’Heineken Jammin Festival alla Fiera di Rho. Sul palco, l’icona dark per antonomasia: Robert Smith, immune da qualsiasi critica. Voce impeccabile, look immutato e, dall’alto dei suoi 53 anni, una presenza scenica da far invidia ai più aitanti pischelli. In delirio i fan ammassati nelle prime file che è ipotizzabile, abbiano rinunciato a costose birrette (5 euro per un ibrido tra una piccola e una media), se non fosse per risparmiare qualche soldo, anche per evitare le file interminabili ai bagni e il sopraggiungere del conato di vomito una volta raggiunta la “zona rossa” marchiata dal debordare delle toilette.

Radio Sound

Ma, come dire… Anche questo è style rock. Dal palco la musica dei Cure poteva far dimenticare qualsiasi polemica. Oltre trenta i brani in scaletta. A rompere il ghiaccio all’inizio dello show il romanticismo e la rabbia sublimata di canzoni come “Pictures of you”, “Lullaby”, “Lovesong”.

 “In between days” e “Just like heaven”, “A forest” e “Friday I’m in love”, nel mezzo, seguiti da momenti decisamente tirati grazie a pezzi come “Wrong”,

“One hundred years” e “Disintegration”. Nella ripresa di nuovo i classici: “Close to me”, “Why can’t I be you”, “Boys don’t cry” con cui Smith e la sua band hanno chiuso il concerto.

Magia pura, concerto generoso e a regola d’arte. Un bel ricordo e una sonora pipì una volta raggiunto il primo bar: leggendari i Cure, opinabili le scelte dell’organizzazione.