Nei giorni scorsi l’ispettore capo Roberto Cravedi, l’assistente scelto Pietro Masini e l’assistente Achille Antonelli appartenenti al Nucleo Tutela Faunistica della polizia Provinciale di Piacenza hanno segnalato all’Autorità Giudiziaria un uomo per esercizio venatorio in periodo di chiusura generale della caccia e per utilizzo di mezzi non consentiti: tre lacci in acciaio adatti alla cattura di ungulati selvatici. L’uomo, un piacentino, installava lacci in acciaio per la cattura di ungulati all’interno di un bosco ceduo, luogo molto frequentato da cinghiali e caprioli, nel comune di Gropparello. La vegetazione era stata opportunamente potata costringendo gli animali selvatici a transitare attraverso la serie di lacci. La fattura e l’ubicazione delle trappole dimostravano certamente una lunga esperienza nella caccia di frodo.
Nel mese di gennaio la polizia provinciale aveva già denunciato una persona che utilizzava i lacci in comune di Gazzola e un paio di mesi fa due persone a Travo che cacciavano in zona vietata, in periodo di chiusura generale della caccia, con un fucile non denunciato, senza la prevista licenza per il porto di armi da fuoco. In tutti i casi le persone segnalate erano prive di licenza di caccia. Il tempestivo intervento della Polizia provinciale ha scongiurato la cattura della fauna che avrebbe costretto gli agenti a denunciare i responsabili per furto ai danni dello Stato e maltrattamento degli animali.
Il cosiddetto “laccio” è un metodo di caccia illegale purtroppo molto in uso su tutto il territorio nazionale. Di semplice fattura consiste in un semplice filo metallico di diverso spessore in funzione della preda che si tenta di colpire. Il laccio viene legato per una estremità ad un paletto o direttamente ad un ancoraggio maggiore (albero o spuntone di roccia). L’altra estremità, invece, è predisposta come un vero e proprio cappio in genere piazzato lungo i camminamenti abituali degli animali. Può colpire le zampe, fatto questo più comune per lupi, cervi e caprioli, arrivando fino all’amputazione dell’arto: il laccio, infatti, penetra sempre più ogni volta che l’animale tenta di liberarsi. Oppure può colpire il collo (soprattutto per cinghiali e volpi) o la pancia (fatto comune per lupi e volpi). A rimanere vittime dei “lacci” possono essere anche animali domestici, come cani, gatti ed animali da pascolo.
La polizia provinciale, da anni impegnata contro la diffusione di questo fenomeno, organizza personale volontario appartenete alle associazioni venatorie ed ecologiche provinciali per la ricerca dei lacci presenti nelle siepi e nelle zone boschive della provincia. L’individuazione dei responsabili è un compito particolarmente difficile in quanto il materiale utilizzato per la fabbricazione del laccio è di uso comune e di facile reperimento e l’installazione è effettuata in genere in luoghi poco accessibili e nascosti. Chiunque dovesse rinvenire trappole o lacci è tenuto a segnalarne la presenza alla polizia provinciale.