Finale Emilia è un comune della provincia di Modena con poco più di 16.000 abitanti che dista circa 160 km da Piacenza. È un centro con un passato intenso alle spalle: le sue terre sono abitate dall’Età del Bronzo ma niente e nessuno, fino al 20 maggio, era riuscito a scalfire così profondamente la tenacia della gente di questa terra che ha solcato differenti epoche e stagioni superandone le prove anche più aspre.
Il 20 maggio 2012, alle 4 di mattina, la terra a Finale Emilia e zone limitrofe ha iniziato a tremare e quel calvario non è ancora terminato: il crollo della torre dei Modenesi e le lesioni alla Rocca Estense, al palazzo Veneziani, al Duomo, al Palazzo Comunale e a molti altri edifici sono solo l’elemento visibile della violenza inaudita di ciò che è accaduto. Le macerie presenti stanno lì a ricordare, ogni singolo giorno, ora e minuto che qualcosa è cambiato, che quel che è stato non sarà più.
Dallo stesso 20 maggio la macchina dei soccorsi e degli aiuti non si è fermata (si spera non si fermi fino a quando tutto non sarà concluso) perché di fronte a questi avvenimenti non siamo più dei singoli individui, ma siamo tutti fratelli: le rivalità e l’indifferenza spariscono e vengono sostituiti dal calore della solidarietà.
Non importa quanto si dà o si può mettere a disposizione, l’essenziale è dare un contributo, piccolo o grande che sia perché tutti credono che è da piccole fonti che nascono anche i fiumi più importanti.
I Lupi Biancorossi, nel loro piccolo, confermano la regola; non ci hanno pensato un solo istante prima di attivarsi nella ricerca di aiuti economici e materiale di prima necessità. Con le loro sole forze e l’aiuto degli amici sono riusciti in poco più di due settimane a recuperare materiale e una ingente somma di denaro (1500 euro) che è stata tramutata in acquisti consegnati ai volontari della Caritas di Modena ieri mattina. Una seconda “trasferta”, con la consegna di altri generi di consumo, avverrà tra un paio di settimane, questo per cercare di sopperire alle eventuali carenze e per ricordare che l’emergenza esisterà ancora, anche se le luci della ribalta non saranno più costantemente puntate sulle zone terremotate.
“Non sappiamo cosa vedremo là, – spiega uno dei Lupi Biancorossi prima di partire – se le immagini davanti ai nostri occhi saranno quelle viste in tv, con case distrutte, capannoni abbattuti dalla furia del terremoto, macerie e distruzione. Non siamo tutti coraggiosi: qualcuno di noi ha raccolto tutto il coraggio, ma spera vivamente che la terra dia tregua e non ricominci a “sbuffare” durante le nostra permanenza nelle zone terremotate… Dopo questa prima consegna la nostra promessa è di farci sentire ancora fra un paio di settimane, perché il denaro donato non è stato speso tutto in una volta, e perché torneremo ancora per portare la nostra piccola goccia in un mare di bisogno”.
Ci si mette in macchina: sono le 8:30 di domenica mattina e la carovana composta da due station wagon, un camioncino e un suv, carichi di materiale, si mette in movimento; usciti dall’autostrada c’è ancora un buon pezzo di strada prima di arrivare a destinazione e in quel tragitto viene automatico guardare fuori dal finestrino.
Alle prime timide occhiate prive di dettagli rilevanti si unisce la vista delle prime tende d’emergenza poste nei giardini delle abitazioni.
Tende di tutti i tipi e di tutti i colori si susseguono e si rincorrono a pochi metri di distanza l’una dall’altra, costruendo un percorso colorato e brioso parallelo alla strada.
Man mano che ci si avvicina alla destinazione, al numero crescente di tende si percepiscono sempre più netti anche i segni del passaggio invisibile ma devastante e cieco del terremoto: qualche crepa qua e là sulle facciate delle abitazioni e qualche cascina che non ha retto e si è coricata su sé stessa. Camposanto fornisce le prove più concrete mettendo sotto ai nostri occhi le varie zone colpite del paese che sono delimitate e invalicabili: la Chiesa in condizioni precarie con il suo piazzale, il centro storico chiuso, i numerosi edifici e tratti di strada e il supermercato che costeggiamo sono “adornati” da crepe e nastri rossi e bianchi. La tendopoli della Protezione Civile, posta di fronte al campo sportivo, è solo l’ennesima conferma della triste realtà.
Il batticuore inizia a farsi sentire e ci si immedesima nelle persone che si incontrano per strada. Arrivati nella zona industriale di Finale, dove troviamo il centro raccolta della Caritas, molti dei capannoni circostanti sono lesionati: alcuni hanno grandi crepe che li attraversano dal tetto alla base, altri hanno perso la copertura, altri ancora hanno le vetrate rotte; nessuno di questi però, nonostante le forti scosse sismiche, è crollato.
I Lupi Biancorossi scaricano, in un capannone che ospita già una buona scorta di materiale vario, i beni di prima necessità, magliette, pantaloncini, lettini e giochi per bambini e viveri “dolci”come la Nutella. Alla vista di quest’ultima un volontario sorride: “Avete avuto un’ottima idea, la chiedono in tanti”.
Prima di ripartire ci fermiamo a parlare con uno dei volontari che non è del luogo ma di Reggio Emilia: “Nonostante non abiti qui, anche io ho sentito la prima scossa. E’ stato bruttissimo, cercavo di raggiungere mia figlia nella sua camera da letto ma il pavimento tremava talmente tanto che non mi permetteva di andare da lei. Nei giorni scorsi c’è stata l’emergenza delle tende, perché la gente che non viene seguita dalla Protezione Civile ha paura a dormire in casa e cerca di attrezzarsi come può. Risolta l’emergenza tende, ora siamo carenti nelle scorte di zucchero, latte per bambini e olio: le richieste cambiano velocemente, quasi di ora in ora”.
La nostra mal celata agitazione si contrappone alle parole calme e rassicuranti di questo volontario: l’aver provato in prima persona cosa comporta essere al centro di un terremoto non gli ha fatto perdere la voglia di mettere in mostra un sorriso vero, solare, pieno di vita e di voglia di fare, ora, subito.
Le stesse sensazioni vengono trasmesse dalle persone che si incontrano per strada: l’Emilia a seguito del terremoto non è una zona in ginocchio, non lo sarà mai. L’imprenditore e il tecnico che alle 10 di domenica mattina, muniti di caschetto, entrano in una fabbrica lesionata per stabilire gli effettivi danni e le modifiche necessarie per riprendere al più presto l’attività, il signore che nel proprio giardino pota la siepe, il panettiere aperto e le persone che si rimboccano le maniche e lavorano anche in un giorno di festa stanno a significare che la voglia di ripartire, e di essere più forti di prima, vince su tutto, vince anche sulle imprevedibili e ingestibili scosse di terremoto.
La ricerca e la voglia di normalità e tranquillità è visibile nelle persone che camminano tranquillamente a bordo strada o che sono sedute su una panchina all’ombra di una pianta, come se fosse una giornata qualunque, come se fosse una domenica qualunque.
Lasciamo Finale Emilia e i finalesi con questi piccoli gesti di una domenica normale e spensierata, spensierata come il potare la siepe del proprio giardino.