Omelia del vescovo mons. Gianni Ambrosio
Notte di Natale 2011 Cattedrale di Piacenza
NATALE DEL SIGNORE, MESSA DELLA NOTTE
(Is 9, 2-4.6-7; Tt 2, 11-14; Lc 2, 1-14)
Carissimi fratelli, carissime sorelle
1. Siamo qui perché Qualcuno ci ha chiamati e noi abbiamo risposto, in modo più o meno consapevole. Questo Qualcuno ha un nome, un volto, un cuore. Si chiama Gesù, Dio che salva, il suo volto è il volto del Figlio di Dio, il suo cuore è ricolmo di amore. Egli, il Signore Gesù, ci ha invitati qui perché noi potessimo gioire nel vedere l’amore di Dio per noi ed accogliere la sua benevolenza verso tutti noi. Questa è la grazia e la bellezza del Natale cristiano che ancora una volta ci è dato di celebrare e di vivere facendo memoria della nascita di Gesù a Betlemme. È lui che ci ha chiamati per “porre la sua tenda tra noi” e nei nostri cuori ed invitarci ad accogliere la sua salvezza. Celebriamo allora la memoria della nascita di Gesù a duemila anni di distanza, ma quell’evento non è solo una memoria significativa ma è una presenza viva e attuale: riviviamo con stupore in questa notte santa il mistero della nascita di Gesù e insieme viviamo con gioia il mistero della nostra rinascita. Il Figlio eterno di Dio, fatto uomo nel grembo di una donna, è il nostro salvatore: è venuto per liberarci dall’oscurità, dalle tenebre, dal male e donarci la luce, la grazia e la forza di una vita nuova, una vita redenta, la vita dei figli di Dio. Ci mettiamo ancora una volta in ascolto della Parola di Dio che è stata proclamata con l’atteggiamento di meraviglia, di lode e di preghiera di Maria, di Giuseppe e dei pastori.
2. Il profeta Isaia ci parla di un “popolo che camminava nelle tenebre”. La difficile situazione storica del popolo di Israele descritta dal profeta vale anche per noi oggi: le difficoltà, l’incertezza, l’oscurità segnano la nostra vita odierna. Isaia annuncia che “il popolo vide una grande luce” e questa luce viene dalla nascita di un figlio che ha titoli regali ed è portatore di pace: “Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (…), il suo nome sarà Principe della pace”.
L’annuncio di Isaia si compie nella nascita di Gesù: egli è la speranza dell’umanità e di ciascuno di noi. Siamo chiamati a fare nostra la gioiosa professione di fede dell’apostolo Paolo: “è apparsa la grazia (la benevolenza) di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. È apparsa e si è manifestata la benevolenza di Dio nella fragilità del Bambino che nasce a Betlemme. “Egli – prosegue Paolo – ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità”. Guardando il volto di quel Bambino, diciamo anche noi con gratitudine: “ha dato se stesso per noi”. Il Figlio di Dio si fa uno di noi per donare se stesso per noi come nostro salvatore.
3. Il racconto evangelico della nascita di quel bambino appare scarno, ma l’evento è inaudito. Ci troviamo sconcertati di fronte al modo con cui Dio manifesta il suo amore e guida la storia dell’umanità. Nel cuore della notte, Dio si fa vicino a noi e nel dono dell’Emmanuele fa risplendere la luce per tutta l’umanità. “Non temete”, dice l’angelo del Signore ai pastori: “ecco vi annunzio una grande gioia (…), oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Sono convinto che l’invito a “non temere” è oggi particolarmente prezioso per tutti noi, pieni di paura non solo di fronte alle sofferenze e alle difficoltà, ma anche di fronte a Dio e alla sua benevolenza. Questa paura ci rende sospettosi e diffidenti. Pensiamo con molta presunzione di salvarci da soli, con la forza delle nostri mani e delle nostre opere. Pensiamo di poter riporre ogni fiducia nelle cose che passano, che difendiamo a denti stretti. Ma Dio non vuole incuterci timore, vuole invece donarci fiducia e speranza. Egli viene in nostro aiuto donandoci il Salvatore che ci libera dal male e ci rende capaci di vivere come suoi figli.
4. Cari fedeli, anche noi, come i pastori, affrettiamoci verso quel “bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Nel segno fragile di quel Bambino, Dio ci assicura il suo amore, la sua presenza. Possiamo allora riprendere il nostro cammino con l’entusiasmo della fede, con la luce della speranza, con la forza dell’amore: grazie a quel Bambino, ci riconosciamo figli nel rapporto con il Padre che ci ama e ci riconosciamo fratelli di ogni essere umano, tutti amati da Dio. Questa è la prospettiva luminosa in cui tutta la storia, personale e sociale, può essere vissuta come storia di vita e di speranza, anche nella svolta epocale cui ci sta costringendo l’attuale crisi economico-finanziaria ed etica. Nel mistero del Natale, troviamo le ragioni per vivere e per sperare, troviamo la luce per illuminare il nostro cammino. Accogliamo questo mistero con la semplicità dei pastori e con la fede disponibile di Maria, la Madre. Sia proprio Lei a prenderci per mano e ad accompagnarci a Cristo per farci incontrare personalmente con lui e trovare in lui la nostra unica salvezza e il principio della nostra gioia e della nostra speranza. Sia questo, carissimi fedeli, per tutti noi e per le nostre famiglie l’augurio più bello per il nostro Natale cristiano. Amen.
+Gianni Ambrosio, vescovo
Omelia nella solennità del S. Natale, Messa del giorno, 2011
Cattedrale di Piacenza e Concattedrale di Bobbio
(Is 52, 7-10; Eb 1, 1-6;Gv 1, 1-18)
1. “E il Verbo si fece carne” (Gv 1, 14). Con queste parole, collocate al centro del primo capitolo del suo Vangelo, il cosiddetto prologo, l’evangelista san Giovanni ci introduce nel mistero del Natale, la festa dell’Incarnazione. Il fatto decisivo della storia umana è presentato con questo sobrio annuncio: “E il Verbo si fece carne”. Nella contemplazione del mistero di Dio e dell’uomo con cui Giovanni apre il suo Vangelo, vengono richiamate le prime parole del libro della Genesi: Dio si rivela nella sua grande opera, la creazione del mondo e soprattutto dell’uomo. Questo è il prologo assoluto della storia che è storia di salvezza fin dall’inizio, perché fondata su Dio che si rivela e si dona: Egli è all’origine della vita e pone il suo sigillo creatore sull’uomo e sulla donna, fatti “a sua immagine” e chiamati a vivere nella sua amicizia. Ora la lunga storia della salvezza arriva al suo culmine. Dopo aver parlato in vari modi per mezzo dei profeti, come ricorda la lettera agli Ebrei, ora Dio “ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 2): egli nasce da una donna e pone la sua tenda tra noi. Con parole che richiamano la normalità dell’esperienza umana del nascere, il Verbo eterno, che “era, in principio, presso Dio”, assume la nostra natura umana. Egli che è luce e vita, viene alla luce e alla vita su questa nostra terra.
2. “Veniva nel mondo la luce vera, (…) eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne ne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv1,11). Anche in questo caso l’evangelista Giovanni è scarno ma molto efficace nel descrivere il dramma dell’umanità. Già a Betlemme Gesù nasce in una stalla perché nell’albergo non c’è posto per lui. Poi è il suo popolo, preparato dalla predicazione profetica, a non accogliere il Verbo di Dio. Infine è l’intera umanità che attende la Parola ma è poca disposta ad ascoltarla.
Nel profondo del cuore l’uomo cerca Dio e attende la sua benevolenza, la sua vicinanza, il suo amore. Ma quando arriva il momento, quando Dio si manifesta e viene ad abitare tra la sua gente, non c’è posto per Lui. Tutto lo spazio e tutto il tempo sono per altre cose, sono per le proprie cose: non rimane nulla per Dio.
Forse l’uomo del terzo millennio, l’uomo del nostro Occidente, ha pensato di fare un passo in più: rinunciare persino a ogni attesa e costruire un mondo in cui Dio è superfluo. Tanto più di un Dio che si china su di noi e vuole manifestarci il suo amore e donarci la sua salvezza. Questo è il dramma dell’uomo, in particolare dell’uomo di oggi che arriva a rinchiudersi nella sua solitudine, nel suo ristretto orizzonte, nel buio della sua stanza e del suo cuore. Non è questa – lo sappiamo e lo sperimentiamo ogni giorno – la strada della vita e della luce.
3. “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Cari fratelli, riconosciamo la grazia che proviene dall’accogliere Cristo: con Lui e grazie a Lui diventiamo figli di Dio e possiamo vivere come suoi figli. Per questo Cristo è venuto e questo è il senso ultimo della nostra storia umana: diventare in Cristo figli di Dio.
Celebriamo allora la sua nascita, ma riconosciamo che nell’accogliere Lui, noi festeggiamo anche il nostro natale, la nostra nascita come figli di Dio, partecipiamo della vita stessa di Cristo che ha in sé la vita e la luce. Accogliere è il grande verbo della fede cristiana, è il verbo che genera la vita vera, abitata dalla presenza in noi di Colui che è la vita.
Nel Credo professiamo la fede con queste parole: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. L’incarnazione è “per noi uomini e per la nostra salvezza”, per riconciliarci con Dio e farci conoscere la sua benevolenza di Padre, per ridonarci la gioia dell’autentico progetto di umanità che ci conduce a diventare “partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4).
La gioia del Natale è destinata a tutto il popolo: “Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2, 10). Tutti noi siamo i destinatari della benevolenza del nostro Dio, tutti abbiamo bisogno di luce e di speranza, tutti dobbiamo poter confidare nell’amore di un Dio che è Padre che ci ama. Sono tante le persone, vicine e lontane, che vengono in mente in quanto più bisognose dell’annuncio natalizio: penso a chi fatica e soffre, a chi ha perso il lavoro, ha chi non ha più fiducia, ha chi si è lasciato ingannare dalle cose che luccicano, a chi è solo e disperato. Preghiamo perché la nascita di Gesù Cristo possa portare a tutti la gioia della vita dei figli di Dio, la gioia di una vita nuova, una vita che dalla fede attinge la forza e l’entusiasmo. Preghiamo perché ogni persona che ha accolto e riconosciuto Gesù Cristo, sappia offrire a ogni uomo che incontra ragioni per vivere e per sperare. Amen.
+Gianni Ambrosio, vescovo
NOTIZIA 23 dicembre 2011 – Auguri del vescovo ai piacentini: “Non rassegnamoci al peggio”
“Non rassegnarsi al peggio”. E’ questo il messaggio del vescovo Monsignor Gianni Ambrosio, che in mattinata ha rivolto alla cittadinanza i tradizionali auguri natalizi. Uno sguardo a tutto tondo quello del vescovo di Piacenza, il quale ha ricordato nel suo discorso i vari aspetti che potrebbero rendere meno liete le festività dei piacentini. Ma è proprio a queste difficoltà che bisogna guardare con speranza per Monsignor Ambrosio: “Il nostro cuore è appesantito. Il nostro sguardo a volte triste per la situazione che stiamo vivendo di difficoltà. Penso a giovani che han perso il lavoro, a tante famiglie in difficoltà, a tanti anziani che sono soli, un po’ abbandonati nelle loro case. Ma l’augurio della gioia natalizia non stona, rispetto a questa situazione, anzi. Siamo invitati, a fronte delle difficoltà che stiamo vivendo, a non rassegnarci al peggio. Buon Natale a tutti”.