Un notevole cambiamento di natura culturale è in atto nella nostra società e di riflesso nelle nostre scuole. Una pluralità di origini, tradizioni, culture, è di fatto la cifra della nuova realtà che presuppone non più soltanto l’accoglienza di nuovi arrivati da paesi stranieri ma la presa di coscienza che è l’identità stessa del nostro Paese ad aver operato una mutazione interna. “Noi” e “loro”, all’interno di una classe di scuola, non sono più categorie attuabili, ma devono essere sostituite da un “noi plurale”, diffusamente multiculturale.
Tale multiculturalismo si manifesta, in maniera molto concreta, attraverso scelte e stili di vita, modi di gestire la casa, il tempo libero, gli spazi pubblici, in misura minore o maggiore differenziati. Modalità che necessariamente entrano in relazione tra loro, talvolta in maniera conflittuale ma non di rado armonica. Si tratta della fisiologica contaminazione che da sempre ha contraddistinto gli snodi più significativi della nostra civiltà e quei passaggi antropologici che in maniera graduale ma inesorabile cambiano il corso della storia.
Educatori ed insegnanti sono chiamati in prima linea ad accompagnare questa transizione e la preoccupazione principale è che essa venga vissuta in maniera positiva e serena dalle nuove generazioni, e non produca lacerazioni e disorientamenti eccessivi che potrebbero esasperarne gli aspetti problematici pur esistenti.
La logica emergenziale che per molto tempo ha motivato e giustificato le numerose azioni di prima accoglienza dovrebbe lasciare spazio a una logica propriamente interculturale, che consideri ormai la differenza culturale come tratto quotidiano e diffuso della nostra società e delle nostre scuole. Basti pensare al fatto che nella scuola italiana sono sempre di più gli alunni stranieri nati in Italia (nella scuola dell’infanzia della nostra provincia più dell’85% dei bambini stranieri sono nati in Italia), e con riferimento alla prima elementare dello scorso anno il numero dei nati in Italia ha superato, per la prima volta nelle statistiche nazionali, il numero dei neo arrivati. Ci troviamo insomma di fronte ad alunni “stranieri sulla carta”, ma “italiani di fatto”, che non necessitano, al pari dei coetanei autoctoni di interventi di integrazione ma sollecitano sicuramente nel profondo il nostro modo di fare scuola (cfr. Dati Fondazione Agnelli, http://www.fga.it).
Oltre a ciò, si aggiunge un altro dato interessante. In una piccola indagine locale sui risultati delle prove INVALSI, promossa dal Servizio Formazione del Comune insieme al CDE e alla scuola Anna Frank, si dimostra che in generale la presenza di alunni stranieri oggi non rallenta gli apprendimenti della classe in cui sono inseriti e che in molti dei test somministrati i ragazzi stranieri hanno una valutazione più alta rispetto a quella degli alunni italiani. Inoltre nelle scuole del primo ciclo della città per la prima volta il numero degli alunni stranieri, da sempre in crescita, si è stabilizzato negli ultimi due anni scolastici oggi intorno al 23%.
Si tratta di segnali che ci inducono a interrogarci sulla fisionomia di un futuro che si profila con qualche incognita. L’obiettivo educativo per tutti dovrebbe allora diventare la costruzione di una “cittadinanza interculturale” in cui tutti, italiani e non, possano riconoscersi. In questa prospettiva la presenza dei mediatori interculturali rappresenta un contatto privilegiato con persone di altre culture e in particolare per gli insegnanti una interessante opportunità di arricchimento del curricolo, in un mondo globale, anche senza la presenza di alunni neoarrivati.
La proposta formativa che qui viene presentata è stata realizzata con la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, del CDE e della Cooperativa Mondo Aperto, e implicitamente di tutti coloro che in questi anni hanno lavorato insieme a noi portando idee, esperienze, inpegno.
I tre incontri previsti saranno organizzati intercalando comunicazione frontale, lavori di gruppo e dibattito in plenaria. I gruppi di lavoro saranno dedicati a 4 tematiche che ci paiono di fondamentale rilevanza nella scuola italiana di oggi: l’accoglienza, il pluralismo linguistico, i rapporti scuola-famiglia, il pluralismo religioso.
Programma:
MARTEDI’ 13 MARZO – UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE (via Emilia Parmense, 84) SALA “PIANA” – ORE 15 –18
ANNA GRANATA (Pedagogia Interculturale – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano). Per un’intercultura di seconda generazione.
CONDUTTORI DEI GRUPPI DI LAVORO
MERCOLEDI’ 11 GENNAIO 2012 – UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE (via Emilia Parmense, 84) – SALA “PIANA” – ORE 15 –18,30
SALUTI E INTRODUZIONE
ANNA GRANATA (Pedagogia Interculturale – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano). Generi, generazioni e culture in gioco.
MERCOLEDI’ 22 FEBBRAIO – SCUOLA ANNA FRANK (via Manzoni, 3) – ORE 15-18
ANNA GRANATA. (Pedagogia Interculturale – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano). Gestire le relazioni interculturali a scuola.
GIANCARLO SACCHI (Coordinatore del CDE) – Insegnante “un po’ più” mediatore. Mediatore “un po’ più” insegnante. Una moderna prospettiva di lavoro.
DELLA SEDE A.FRANK – Ognuno sorride nella stessa lingua. Lavoro in corso
DIBATTITO
Presentazione dei gruppi di lavoro:
Gruppo n. 1 Il primo passo. Accogliere i nuovi arrivati
La prima elementare dello scorso anno (2010) ha visto per la prima volta il “sorpasso delle seconde generazioni” entro la popolazione scolastica straniera. Più del 50% degli alunni sono nati in Italia da genitori stranieri e non necessitano di un processo di accoglienza differenziato rispetto agli alunni italiani. Tuttavia, è importante oggi continuare a riflettere sulla fase di accoglienza dei nuovi arrivati, ed è importante farlo in un’ottica che non sia più emergenziale. Come vengono accolti i nuovi arrivati nella scuola italiana? In base a quali criteri si inseriscono in una scuola, in un plesso, in una classe rispetto ad un’altra? Quale spazio viene accordato alle conoscenze pregresse acquisite nelle scuole del paese d’origine? A queste e ad altre domande cercherà di rispondere il gruppo 1, a partire da casi di riflessione e buone pratiche esistenti sul territorio nazionale.
Gruppo n. 2 – Stare bene a Babele. Scuola e pluralismo linguistico
Oggi, nella scuola italiana, ci sono alunni provenienti da 191 paesi e parlanti circa 60 lingue, che vanno da lingue nazionali riconosciute (quali l’inglese, il francese, l’arabo, il cinese) a dialetti locali conosciuti spesso in forma orale e non scritta (quali il dialetto marocchino o il dialetto farsi). Quale ruolo assume l’aspetto linguistico nella scuola multiculturale? Come ci si rapporta all’insegnamento dell’italiano come L2, al di là del semplice apprendimento di base? E ancora, quale cittadinanza ricevono, entro le nostre scuole, le lingue d’origine degli alunni stranieri? A queste e ad altre domande cercherà di rispondere il gruppo 2, a partire da casi concreti tratti dalla prassi interculturale di alcune scuole che hanno promosso progetti innovativi sul territorio nazionale.
Gruppo n. 3 – Mille e un’idea di scuola. Modelli famigliari e origini culturali
E’ concezione diffusa che le famiglie straniere partecipino meno delle famiglie italiane alla vita della scuola. E’ una concezione fondata su rilevanza empirica? Possiamo pensare che ci sia una modalità “italiana” ed una “straniera”? Esistono piuttosto diverse idee di scuola e di relazione con gli insegnanti, distinte in base al percorso biografico delle famiglie (recente o più datata immigrazione), al paese d’origine (dal Perù, alla Cina, all’Egitto, e così via), al percorso di studi eventuale compiuto dai genitori nel paese d’origine? Come è possibile, coinvolgere in maniera attiva famiglie di diverse origini e condizioni all’interno delle nostre scuole? A queste e ad altre domande cercherà di rispondere il gruppo 3, a partire da esempi concreti tratti da esperienze esistenti sul territorio nazionale.
Gruppo n. 4 – La voglia di imparare. Successo formativo (per tutti) e innovazione didattica
La motivazione ad apprendere è una delle componenenti fondamentali del successo formativo. Si dice che gli alunni stranieri partono da condizioni svantaggiate ma poi recuperano in fretta, raggiungendo anche risultati di eccellenza. E’ confermata questa percezione? Gli alunni stranieri vogliono apprendere in fretta e bene per poter lavorare e guadagnare o ci sono altri motivi?
La voglia di imparare deve essere sostenuta da una apertura verso nuovi contenuti e metodologie didattiche che favoriscano l’integrazione, non solo dei soggetti quanto dei saperi, verso una prospettiva interculturale. Che cosa si fa in questa direzione nelle scuole? Il mediatore interculturale, proprio perché portatore di un’altra cultura, interviene ad ampliare questi orizzonti formativi o viene utilizzato principalmente come figura di pura assistenza?