I Lombardi alla prima crociata di Giuseppe Verdi, al Municipale

Mancano pochi giorni alla prima molto attesa de Il Lombardi alla prima crociata, opera facente parte del gruppo delle opere “patriottiche” di Giuseppe Verdi in scena al Municipale il 24 e 26 novembre, ore 20.30 (prova generale il 22 alle 15.30, per ospiti delle scuole e delle case di riposo); la produzione è della Fondazione Teatri in collaborazione con gli Amici della Lirica.

Radio Sound

Un’opera nata per la ‘stagione di Quaresima’, pertanto il soggetto religioso e il taglio corale sono ne I Lombardi una scelta obbligata, come è successo per Mosè in Egitto di Rossini o per lo stesso Nabucco, del quale i Lombardi, che vanno in scena alla Scala l’11 febbraio 1843, mirano a ripetere il successo. Infatti “O Signor dal tetto natìo” vuol essere, in quanto espressione corale di una medesima condizione di nostalgia e di esilio, il corrispondente del celeberrimo “Va pensiero”. Il pubblico, che voleva Milano libera dagli Austriaci, si identificava ora nei Crociati che avevano combattuto per liberare Gerusalemme dagli infedeli. Questo giovane Verdi è da ammirare per la logica serrata con cui costruisce e risolve in idee musicali le tensioni drammatiche non più derivanti da passioni individuali ma anche da un orizzonte umano più ampio.

Per questo motivo la Fondazione Teatri ha voluto, al termine del 2011, per i 150 anni dell’Unità nazionale tributare un ulteriore omaggio a Piacenza ‘primogenita’. Una scelta che trova la motivazione anche in un episodio della storia della città risalente al 1095, quando proprio a Piacenza fu indetto da papa Urbano II un Concilio durante il quale nacque l’idea della crociata.

Quello di Piacenza fu il primo grande concilio del pontificato di Urbano II. Vi furono approvati decreti contro la simonia, il matrimonio tra ecclesiastici e contro alcune sette eretiche. Tra gli osservatori laici del concilio vi erano anche gli inviati dell’imperatore Alessio I Comneno che sottolinearono con particolare enfasi le sofferenze che i cristiani d’Oriente dovevano sopportare a causa degli infedeli. Ovviamente i vescovi ed il papa furono colpiti da queste parole tanto da iniziare a progettare una spedizione per la ‘conquista’ dei luoghi Santi. L’assemblea si tenne all’aperto, nei prati attorno alla chiesetta di Santa Vittoria, nel luogo dove oggi sorge la splendida basilica di Santa Maria di Campagna. Per ricordare l’avvenimento ancora oggi la piazza che ospita Santa Maria di Campagna viene detta Piazzale delle Crociate. Raccontano le cronache che tutta la piana fino alla riva del Po fu trasformata in un’immensa tendopoli, poichè la città non aveva sufficienti alberghi per ospitare i partecipanti (si parla di ben 30.000 laici, oltre a 200 vescovi, 3.000 chierici e la regina Prassede, moglie dell’imperatore Enrico IV, con tutto il suo seguito).

L’allestimento di questa produzione dei Lombardi fatto di scene e di proiezioni – curato per la regia da Alessandro Bertolotti coadiuvato dallo scenografo e costumista Artemio Cabassi – ha voluto nella sua essenzialità, ricordare anche questo particolare, unitamente al tema politico racchiuso dall’opera senza poi trascurare la storia intima dei personaggi. In particolar modo il dramma dei due giovani: Giselda ragazza cristiana sinceramente innamorata di Oronte musulmano. Una storia moderna carica di significati strettamente legati alla realtà vissuta da Verdi che non ha caso attraverso la sua opera invita ad una riflessione sul senso della religione, sugli eccidi cui il furore religioso porta. Ed è proprio dalla bocca di Giselda che esce furibonda e lacerata la cabaletta ove lancia il suo grido: “No!…giusta causa non è d’Iddio / la terra spargere di sangue umano / E’ turpe insania, non senso pio/ che all’oro destasi del musulmano!/ Queste del cielo non fur parole…/No, Dio non vuole! No, Dio nol vuol”.

I Lombardi richiedono un cast vocale di tutto rispetto composto da due tenori, qui interpretati da Alessandro Fantoni (Arvino) e Ivan Magrì (Oronte). Questo allestimento, tutto piacentino, conta anche su Stefanna Kybalova (Giselda), Andrea Patucelli (Pagano), il mezzosoprano piacentino Stefania Ferrari (Viclinda), Davide Baronchelli (Pirro); Matteo Monni (Priore), Daniele Cusani (Acciano) e Francesca Paiola Arena (Sofia) Michele Paturzo (Fosco, ruolo ‘muto’). Accanto a Bertolotti lavorerà lo scenografo e costumista Artemio Cabassi; le coreografie di Giuseppina Campolonghi sono interpretate dal corpo di ballo formato dalle allieve dell’Accademia di danza “Domenichino da Piacenza”; le luci sono realizzate da Paolo Panizza; partecipano inoltre il Coro del Teatro Municipale di Piacenza con il suo maestro Corrado Casati e l’Orchestra Filarmonica Italiana diretta Gioele Muglialdo.

Ad oggi l’opera verdiana è andata in scena al Municipale di Piacenza cinque volte: nel 1945 alla presenza della dedicataria la Duchessa Maria Luigia d’Austria; nel 1848, 1863, 1885 , 1995. Movimenta fu la recita del 1863 “per una violenta polemica tra il critico Galloni del “Corriere Piacentino” ed il tenore Ghislanzoni che sfociò in un duello all’arma bianca”

Un laboratorio, tra patriottismo e sperimentazione

di Gioele Muglialdo

Interpretare, cantare o dirigere “I Lombardi” è ancor oggi una scommessa: si tratta di coniugare estremi contrapposti, di trovare la quadratura del cerchio all’interno di un quadro musicale e drammaturgico irto di squilibri e contraddizioni. Una breve puntualizzazione storica ci aiuterà a chiarire questo assunto.

I Lombardi sono la quarta opera del Maestro ma – considerando Oberto e Un giorno di regno esperimenti giovanili – sono in realtà, dopo Nabucco, la seconda tappa del percorso musicale (giovanile) del compositore e segnano quindi un rafforzamento ed una conferma di una poetica destinata ad un’incessante evoluzione e maturazione. La tradizione antica e moderna boccia questo melodramma come opera minore, una “filiazione” mal riuscita del Nabucco.

In realtà le singolarità di quest’opera, decisamente risorgimentale, sono molteplici e meritano di essere attentamente valutate:

– il libretto, tratto da un poema di Tommaso Grossi, fu l’unico libretto verdiano ad essere tratto da una fonte italiana (gli altri com’è noto nascono per lo più da fonti letterarie inglesi o francesi).

– Fu la prima opera ad essere utilizzata da Verdi per il debutto a Parigi. Il che non deve essere un caso, vista l’oculatezza con la quale il compositore operava queste scelte. La prima scaligera fu del 1843, la rappresentazione del rifacimento francese, Jerusalem, avvenne nel 1847.

– Curiosamente fu la prima opera verdiana rappresentata in America.

– La première fu un successo eclatante ma forse a decidere la scarsa fortuna dell’opera fu il fiasco alla rappresentazione successiva a Venezia. In quegli anni Verdi doveva – come si direbbe oggi – “rimanere sul mercato” e quindi doveva puntare sempre su titoli vincenti.

– In pieno clima risorgimentale, il coro “O Signore, dal tetto natio” ebbe per anni più notorietà dello stesso “Va’ pensiero” del Nabucco.

Premessi questi spunti di riflessione, restano i pregi, i difetti e le difficoltà sul versante più propriamente musicale e vocale. Quelli vocali innanzitutto, laddove la parte scritta per Erminia Frezzolini è certamente una delle più ardue scritte da Verdi per il registro di soprano. La Frezzolini, ricordiamo, aveva appena debuttato sulle scene nella Beatrice di Tenda solo 5 anni prima e godette della fiducia del compositore che le affidò poco dopo la anche Giovanna d’Arco. Infine la grande primadonna fu la prima Gilda nel Rigoletto. Ma non meno difficoltose sono le parti maschili, su cui non ci soffermeremo per brevità.

L’impianto vocale si colloca all’interno di un tessuto orchestrale variegato e contraddittorio, francamente disorganico ma anche forse per questo affascinante, soprattutto per chi ama la schietta genuinità del Verdi giovane.

Momenti di intenso e disteso lirismo, di grande forza persuasiva, si alternano a pagine di un vitalismo ritmico aggressivo, se non addirittura selvaggio, con quell’onnipresente banda che ha fatto storcere il naso a tanti “puristi”. Una musica incalzante, un concentrato di ‘verdianità’ allo stato puro, in cui appunto la pulsazione ritmica è incessante e quasi ossessiva, innervando tutta la trama musicale in infinite varianti. E come non ricordare l’altezza di ispirazione di una pagina studiatissima e consapevole come la preghiera di Giselda “Salve Maria!”, orchestrata con un organico cameristico (il tremolo degli archi con sordina sostiene la melodia, punteggiato solo dagli arpeggi di un flauto e di un clarinetto)

In definitiva, I Lombardi costituiscono un fantastico laboratorio verdiano, degno ancora oggi della nostra attenzione e del nostro ascolto, laddove se ne affronti l’interpretazione con un approccio genuinamente scevro da preconcetti e pregiudizi storicamente sedimentati.

E vale per quest’opera, nonostante i suoi squilibri, come per tanti altri capolavori conclamati, quanto acutamente ha scritto Paola Ruminelli: Verdi non era aristocraticamente chiuso nel suo universo musicale, ma era calato nella viva realtà del suo tempo condividendone le attese ideali e gli orientamenti del gusto. La sua è musica di sentimenti profondamente umani, che il suo senso del teatro gli permetteva di incarnare in azioni e personaggi modellati dalla musica in maniera altrettanto decisa di quelli dei drammi in prosa, che vivono sulla scena le offese della dignità umana, dell’amore, alla pace alla giustizia ed esprimono, non con effetti di belcantismo, ma con accenti vibranti e melodie intense, le profondità del sentire. Proprio perché attento alla realtà, Verdi fu anche vivamente partecipe alle ansie e ai problemi connessi alla situazione storica in cui viveva caratterizzata dal movimento politico risorgimentale, di cui il grande musicista fu considerato una delle guide morali più significative.

Anche I Lombardi, aggiungiamo noi, costituiscono, a loro modo e nel loro contesto, un’esemplificazione di queste capacità drammaturgiche-musicali del Cigno di Busseto.

L’attualità dei Lombardi

di Alessandro Bertolotti

I Lombardi alla prima crociata: un’opera intensa rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano nel 1843 e che narra vicende riferibili all’inizio del secondo millennio. Vicende antiche ma, a ben vedere, più che mai attuali.

Lo scontro tra due civiltà, tra due modi di vivere la vita e le relazioni sociali; due concezioni diverse in merito al “mistero” che ci origina e che diventa il motivo dietro cui nascondere la mai sopita e crudele volontà di prevalere sugli altri con la forza della violenza e non con la forza delle idee.

Il tema di fondo – i crociati che nel medioevo combatterono contro i musulmani per riconquistare Gerusalemme – mette in evidenza domande che nel tempo hanno assunto aspetti sempre diversi ma uniti: è possibile la pacifica convivenza tra popoli, tra persone che pur avendo modi di vivere anche estremamente diversi, si rispettano e cercano di accostarsi l’una all’altra con l’umiltà di imparare da un punto di vista diverso la stessa, identica realtà che è la vita umana?

Come ieri anche oggi, in un mondo che si è fatto sempre più piccolo, accostarsi a chi non la pensa come noi, a chi ha stili di vita diversi, a chi crede in Dio attraverso preghiere e modi diversi dai nostri fa paura. Questa paura nasce però a mio avviso, dall’ignoranza di chi siamo e di chi è l’altro. Quello che non si conosce fa spesso paura e la paura conduce altrettanto spesso a chiudersi per preservare le proprie, a volte misere, conquiste invece di aprirsi con fiducia all’accoglienza.

Ma cosa può spingere un uomo, una società ad aprirsi con fiducia all’altro?

L’amore tra Giselda e Oronte getta una luce nuova sui rapporti umani: l’uomo che ama sa vedere oltre le reali differenze e sa elevarle in una sintesi che le esalta e le arricchisce reciprocamente.

Ancora: il grido di dolore di Giselda nell’ultima scena del secondo atto getta un altro raggio di luce.

“No!… giusta causa – non è d’Iddio / la terra spargere – di sangue umano. (…) No, Dio nol vuole! (…) Ei sol di pace – scese a parlar!” chiarisce che la religione non può essere un comodo paravento per guerre e scontri che hanno ben altri obiettivi rispetto alla preservazione di una identità urlata ma mai vissuta – si pensi alle contrapposizioni in Palestina tra ebrei e musulmani, nella ex Jugoslavia tra cattolici, ortodossi e musulmani e, nella nostra società, alla difficile gestione dell’immigrazione, anche regolare.

L’amore vissuto anche sotto la lente della carità può essere la chiave per aprirsi alla conoscenza e all’accoglienza dell’altro.

Rivolgo un pensiero di gratitudine a Sandro Bosoni, storico presidente dell’Associazione “Amici della lirica” che purtroppo ci ha lasciati lo scorso aprile. Senza il suo costante incoraggiamento ad affacciarmi allo spettacolo lirico anche nelle vesti di regista, mai avrei avuto la possibilità di cercare di trasmettere al pubblico le sensazioni, le idee e le emozioni che l’opera lirica – in questo caso “I lombardi alla prima crociata” – suscita in me. Grazie Sandro!