Commemorazione dei Caduti per la Patria, la cerimonia a Piacenza

Alla presenza delle massime autorità civili e militari si è svolta in mattinata al Cimitero di Piacenza la commemorazione dei Caduti durante la Seconda Guerra Mondiale. Una cerimonia molto sentita dall’intera comunità, alla quale hanno preso parte le autorità istituzionali e religiose del territorio per ricordare il sacrificio dei molti partigiani morti in battaglia o fucilati durante il conflitto negli anni dal 1939 al ’45.

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Dopo la celebrazione della funzione religiosa al Famedio, il corteo dei presenti si è snodato lungo un percorso per la deposizione delle corone d’alloro, raggiungendo, al termine, la lapide dei partigiani fucilati durante la II Guerra Mondiale, dove il sindaco Roberto Reggi ha letto l’allocuzione ufficiale. “Commemorare i defunti è una liturgia il più delle volte privata”, ha ricordato il sindaco “ma che in questo caso assume un significato di insegnamento per la collettività”.

 Dello stesso avviso anche il presidente della Provincia Massimo Trespidi, che ha ricordato l’importanza del momento nell’anno delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

Non è mancata comunque, nonostante il momento, una piccola polemica sollevata dall’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). A pochi giorni dalla cerimonia, infatti, sembra che il comune non abbia effettuato la pulizia delle tombe dei partigiani al cimitero cittadino. Così, nonostante la segnalazione dello scorso anno da parte, anche quest’anno l’associazione ha provveduto di tasca propria a ripristinare il decoro dei loculi. Una spesa di qualche decina di euro, che escluderebbe dalle ragioni del mancato impegno dell’amministrazione, secondo Mario Cravedi, presidente provinciale dell’Anpi, quella dei tagli del governo ai comuni.

IL DISCORSO DEL SINDACO REGGI

Oggi è una giornata particolare: ricordiamo i nostri affetti più cari, coloro che ci hanno lasciato e ai quali volevamo bene; la nostra dimensione privata ritrova una sensibilità più autentica, più vera. Accanto ad essa, oggi, qui, c’è anche una dimensione collettiva, perché questa ricorrenza ci avvicina con il cuore, con la preghiera e con la memoria a tante donne, uomini e famiglie che non conosciamo e nel rendere onore ai Caduti di tutte le guerre siamo assorti in una tragica constatazione, in una consapevolezza vera. 
In troppi hanno perduto la vita per un ideale, in tanti sono rimasti vittime di violenze inaudite, di tragiche coincidenze e fatalità, di una Storia con la esse maiuscola che molte volte si è fatta piccola piccola. In tutto ciò ci consola il fatto che sono esistiti uomini e donne per cui questo Paese, oggi vituperato da forze politiche che ergono muri ideologici per difendere la loro povertà intellettuale, è stato per molti, un ideale per il quale valeva la vita e in tanti sono morti pronunciando come ultime parole, come anelito “Viva l’Italia”. 
E a proposito di orgoglio nazionale, di ideale patriottico, di anelito di libertà, raggiungendo il Famedio del Cimitero urbano, il nostro sguardo si è fermato nel punto in cui 17 piacentini, tra il 1944 e il 1945, trovarono la morte fucilati da una mano vile e violenta: tra loro don Giuseppe Borea, tra i primi sacerdoti che, dopo l’8 settembre del ’43, scelsero di sostenere il movimento di Liberazione. Questo nome, tra i tanti che avrei potuto citare oggi, rappresenta il simbolo dell’impegno civile per la pace e la libertà e, nel contempo, è un richiamo forte alla crescita esponenziale delle vittime tra i non appartenenti agli eserciti, tra coloro che non indossavano un’uniforme. In quegli anni difficili, fatti di scelte personali ed esistenziali, don Giuseppe Borea decise di sostenere e propagandare il movimento di Liberazione. Dal giorno del suo inserimento nella Divisione partigiana Valdarda svolse un’opera instancabile di assistenza morale e materiale tra i partigiani, contribuendo allo scambio di prigionieri, al passaggio di messaggi segreti. Quattro miliziani del Comando delle Brigate nere di Piacenza lo andarono a prendere in canonica. Portato in città venne sottoposto a diversi interrogatori in Questura, dove respinse le accuse di omicidio e immoralità, ma non negò la verità: di essere orgogliosamente un cospiratore e un patriota. Don Borea pagò con la vita la fedeltà ai propri valori, fino all’ultimo momento, fino all’estremo sacrificio: la fucilazione poco distante dal luogo dove ci troviamo ora, il 9 febbraio del 1945. Morì pregando Iddio al grido di “Viva l’Italia”.
Abbiamo festeggiato i 150 dell’Unità d’Italia nel marzo scorso. Chissà cosa direbbero dell’Italia di oggi i volontari della Grande Guerra, che scrivevano alle loro madri: “Forse tu non potrai capire come non essendo io costretto, sia andato in battaglia, ma credilo, mi riuscirebbe le mille volte più dolce, il morire in faccia al mio paese natale. Addio, mamma amata, addio mia sorella cara, addio mio caro papà. Muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso selvaggio per la nostra cara Patria”. Anch’essi se ne andarono gridando “Viva l’Italia”, grido che è stato per molti italiani del Risorgimento e della Resistenza, una testimonianza d’affetto e d’amore per un Paese migliore. 
I caduti di tutte le guerre morirono per un Paese che volevano più giusto e più libero. Purtroppo ricordiamo questi caduti una sola volta all’anno. Dovremmo farlo più spesso. Insegnare ai nostri giovani valori che sembrano essere sul viale del tramonto. Siamo a corto di memoria. Si dimentica che nel 1848 insorse l’Italia intera e che Piacenza è Primogenita di quest’Italia.
La nostra stessa città, Medaglia d’oro al Valore Militare, ha pianto centinaia di morti durante i due conflitti mondiali, uccisi da bombardamenti aerei, da mitragliamenti, dallo scoppio della fabbrica della Pertite. E molti, troppi giovani, alcuni dei quali padri di famiglia, sono caduti tra il 1915 e il 1945, gli anni più drammatici e più laceranti di un Novecento, il secolo breve e crudele, segnato dal bellicismo dei regimi dittatoriali, con le tragiche conseguenze che ne derivarono in tutta Europa. 
E di questi tempi, in cui il buio e il freddo ci avvolgono, mentre il mondo attraversa una delle crisi più drammatiche, dobbiamo scongiurare ogni rischio di rimozione di tante esperienze sconvolgenti vissute dal Paese, per poter prevenire ogni pericolo di riproduzione di quei fenomeni che sono tanto costati alla democrazia e agli italiani. Penso al terrorismo e alla criminalità organizzata, nemici dello Stato libero e democratico, penso alle vittime di questa barbarie: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il generale Carlo Alberto Della Chiesa e giornalisti come Walter Tobagi. Dobbiamo respingere ogni tentativo, ogni rigurgito di violenza, ma anche ogni tentativo di bavaglio che vorrebbero imporci con leggi truffaldine. Dobbiamo essere coesi e uniti nella condivisione ideale.
In questi istanti di raccoglimento e preghiera, non possiamo che ribadire tutto il nostro amore per la dignità della persona, la rivendicazione unanime del diritto alla vita, la volontà di garantire che, in ogni angolo del mondo, la gente possa fare progetti per il domani. Perché il mondo e l’Italia sono una cosa seria. Il nostro Paese è nato molto prima di 150 anni fa: è nato nei versi di Dante Alighieri, nel genio di Leonardo, nella pittura di Piero della Francesca e di Giotto. Ed è diventato una nazione grazie a tanti eroi spesso dimenticati. Molti dei quali sono i Caduti che oggi commemoriamo. Ci insegnano che siamo chiamati a costruire la pace ogni giorno, educando le giovani generazioni e traendo, dal passato, quegli insegnamenti che non sempre abbiamo saputo applicare ma anche a vigilare, a non permettere che l’arroganza e l’ignoranza possano essere legittimate a forme di potere, di comando e, purtroppo, di malgoverno.
Grazie e Viva l’Italia.