La \”She\” di Lorenzo Calza diventa l\’alter ego di 10 mila donne su Facebo

“Una come She va presentata agli amici”. E’ così che viene descritto da Lorenzo Calza, il suo creatore, il personaggio femminile nato su Facebook che negli ultimi tempi sta diventando un vero e proprio caso tra giovani e meno giovani, non solo donne, che la scoprono nella selva degli “amici” del noto sociale network. Lorenzo Calza, piacentino di nascita ma ormai genovese d’adozione, sceneggiatore, autore, disegnatore e da un anno anche scrittore (il suo primo romanzo si intitola: “La commedia è finita”) è una delle menti creative del fumetto noir “Julia”, insieme a Giancarlo Berardi, ma soprattutto l’inventore di “She”, la donna sempre discinta ma elegantissima, sinuosa e delicata, dal carattere forte ma fragilissima, con la quale Lorenzo sta cercando di trovare una nuova via per arrivare al lettore.

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Lorenzo, “She” è ormai diventata l’alter ego di moltissime donne su Facebook. Com’è nata l’idea?

Un anno fa sulle pagine virtuali, dove tutti aggiornano il proprio “status” di Facebook, con molte frasi o vere e proprie sentenze, che animano dibattiti spesso avvitati su sé stessi. Io sentivo il bisogno di ravvivare questi dialoghi. Cioè alla frase allegare un’illustrazione. E questa è venuta al femminile. Mi sono reso conto che la questione femminile era la preponderante nel nostro paese, come testimonia la cronaca di tutti i giorni. E così nasce “She”, bionda, con lunga coda di cavallo, sempre nuda e inquadrata di spalle in campo bianco che dice le sue cose. Questo ha conquistato un gruppo di donne che si sono sentite partecipi al suo mondo. Al suo modo di porsi. E di conseguenza è nata una comunità molto importante. La pagina di “She” viaggia sui 10 mila contatti. Il fenomeno è montato da solo, come la maionese.

Tra l’altro, da qualche tempo, è venuta alla luce anche la “la piccola She”. Come mai hai fatto uscire da quell’affascinante solitudine il tuo personaggio?

Perché “She” è molto difficile da creare tecnicamente. E’ nuda da tutti i punti di vista, la vignetta nel suo senso più scarno possibile. Dopo 2-300 tavole ho sentito il bisogno di farla parlare con qualcuno e qui si è aperto un altro dibattito. Chi è o cos’è? Le appassionate si sono interrogate: “E’ la figlia o lei bambina?” Io, in cuor mio, forse lo so ma è un arcano che preferisco non svelare.

Questo è stato un anno molto intenso, non solo per le vicende politico – economiche ma anche per le donne ed i loro diritti all’interno della società. Ricordiamo solo la manifestazione “Se non ora quando?”. Ma una come “She” avrebbe partecipato?

Lei non riesce a interagire con niente, proprio per com’è costituita. Ma “She” ha presagito questo clima. Io come sceneggiatore fiutavo nell’aria che c’era la necessità di creare un nuovo personaggio femminile. Lavorando su Julia, la criminologa che esce una volta al mese nelle edicole, sono costretto a pensare quotidianamente “al femminile”. Il mio lavoro è immedesimarmi nelle procedure di una giovane donna. Devo dire che ormai è diventato un vizio professionale. Ogni volta che devo pensare a un nuovo personaggio, non si sa come, mi viene femminile e anche quando esce maschile (nel romanzo “La commedia è finita”) ho sentito la necessità di mettergli accanto la moglie. Che nei romanzi successivi si vedrà, prenderà il sopravvento.

Le tue ispirazioni da dove provengono, solo dal campo femminile o anche dalla fantasia, che in seguito trasponi realisticamente attraverso i tuoi fumetti?

Uno scrittore deve avere sempre le antenne all’erta. Deve succhiare da tutto quello che lo circonda. Io vado in giro con un taccuino o con un omologo mentale sempre acceso. Carpisco frasi, vedo situazioni, studio volti e personaggi. Si scompone la realtà come se fosse un puzzle e si cerca poi di rimontarla con il processo della creatività. “She” pesca molto dall’immaginario femminile e in qualche modo ha anticipato questa stagione di nuova partecipazione. La quale non mira a svilire il concetto di bellezza ma a ridarle quella dignità che è stata vilipesa dai meccanismi del consumo.

Scrittore, sceneggiatore, autore, ma nel tuo passato piacentino anche musicista. Progetti futuri? Musicista è una parola grossa…anche se con il gruppo piacentino, negli anni ’80 in una qualche misura ci facemmo sentire. Però io sono un narratore anche se mi piace scrivere canzoni. Quello che cerco di fare è non escludere nulla. Cioè fare tutto nel migliore dei modi. Questo penso sia il compito di un bravo narratore. Il mio sogno è fare come avviene in America, cioè bypassare gli sclerotizzati sistemi produttivi di oggi, riuscendo ad arrivare al pubblico iniziando un nuovo mercato, che parte dall’autore e arriva al lettore senza innumerevoli processi intermedi ormai entrati in crisi.

Genova è una città ricca di spunti per un narratore ma ti manca qualcosa della tua Piacenza?

Certo. Piacenza è anche una dimensione onirica, privata, mia. Ogni volta che torno scattano questi meccanismi particolari, che hanno a che fare con la malinconia, la nostalgia. C’è sempre un tono plumbeo nel mio ritorno in città. Tutto però si mette a posto quando si comincia a parlare con la mia gente, si va al bar e si sente quell’accento dalla “r” arrotata, che non mi è certo passato. Allora riprovo quella bonomia, quel modo di stare insieme da paesone, che in una grande città si è perso. Fortunatamente di tanto in tanto torno a Piacenza per ritrovare questa dimensione.