Italia, Spagna e Francia fanno quadrato per contrastare il riconoscimento del marchio Igp all’aglio cinese. Dopo i vertici di Barcellona (29 marzo) e Roma (29 aprile), questa mattina sono stati gli uffici provinciali di palazzo Agricoltura a ospitare il nuovo meeting tra delegazioni internazionali, il primo successivo alla chiusura del periodo semestrale di osservazioni dopo l’ok di Bruxelles al riconoscimento Igp alla Cina.
Una brutta notizia per le produzioni tipiche, annunciata nel corso del meeting in Provincia da Francesco Rastelli, responsabile settore aglio per conto di Fedagri-Confcooperative nazionale.
A chiedere il marchio di origine – ha spiegato – è la regione cinese dello Jinxiang, che possiede 40mila ettari coltivati ad aglio, per un totale di oltre 700mila tonnellate di prodotto, un quarto della produzione complessiva cinese.
L’istanza cinese ha superato per velocità di risposta degli organismi europei addirittura quella dell’Ottolini, la varietà dell’aglio bianco piacentino ancora ferma al parere della commissione.
Lo ha riferito Rastelli davanti a una folta platea composta, tra gli altri, da rappresentanti di Confcooperative, funzionari internazionali e dai delegati delle principali associazioni agricole (per Coldiretti l'”emissario” nazionale Lorenzo Bazzana, per Confagricoltura il direttore Luigi Sidoli). Al tavolo dei relatori, direttamente dal ministero, Antonio Fallacara. Con lui: Jean Chibon, addetto per gli affari agricoli dell’ambasciata di Francia in Italia con Christiane Pieters, presidente dell’associazione interprofessionale agricola transalpina “Aniail”, Julio Bacete Gomez, presidente della Mesa Nacional del Ajo spagnola, con Amparo Rambla Gil dell’ambasciata iberica e Donato Palmieri di Fruit Impresa.
“L’Europa si sta trasformando in un distributore commerciale di prodotto esterno, non possiamo svendere i nostri marchi di qualità” è stato sottolineato all’unanimità.
“Riconoscere l’Igp alle grandi produzioni vuol dire annichilire il senso stesso del marchio, nato per salvaguardare e valorizzare i prodotti locali, le qualità più di nicchia”. La parte commerciale ha precisato che la grande distribuzione italiana oggi è ancora in grado di contenere l’avanzata del prodotto orientale. “La gdo italiana – è stato sottolineato dai rappresentanti di settore – per sei mesi all’anno riesce a proporre per il 90-95 per cento aglio italiano. Il problema sono i costi di produzione italiani. 15 euro all’ora per la manodopera sono troppi”. In Francia la grande distribuzione ha una soglia media di prodotto nazionale del 70 per cento con costi della manodopera giudicati ugualmente “eccessivi”. Esaurito l’aglio nazionale ci si rivolge per lo più ad Argentina e Cina. Da qui la proposta, emersa dall’assemblea di questa mattina, di creare un “centro di coordinamento” delle quantità d’importazione extraeuropea, per ottimizzare la distribuzione dell’aglio continentale, evitando di rivolgere le proprie richieste in Oriente in presenza di riserve attive di prodotto europeo.
Il tavolo di questa mattina è servito anche per fare il punto sulla campagna 2011. In Italia buona la produzione e buona la qualità, ma prezzi in discesa fino al 10 per cento. In picchiata anche i prezzi dell’aglio francese, che ha dovuto fare i conti con la siccità di marzo e aprile. Buona la produzione spagnola. Anche in questo caso nota dolente i prezzi, in flessione del 25 per cento (nel 2010, va rilevato, gli aumenti erano stati extra ordinari). In tutti i casi a influire pesantemente sulle tariffe è il gioco al ribasso cinese. I quantitativi contingentati in arrivo dall’Oriente “danno fastidio” alla qualità locale, con standard non all’altezza dell’aglio europeo. “E’ importante la presa di posizione forte che arriva dalla filiera dell’aglio italiana e piacentina – dice l’assessore Filippo Pozzi – per tutelare le nostre denominazioni di qualità. Quella dell’aglio è l’ennesima dimostrazione del fallimento di chi voleva spacciare la Cina come una grande opportunità priva di rischi per le nostre imprese”.
A marzo il tavolo internazionale si aggiornerà nuovamente in Francia. Nel frattempo si attendono ulteriori sviluppi da Bruxelles, chiamata a controdedurre alle osservazioni già presentate dai tre principali produttori europei: Italia, Spagna e Francia, che vanno nella direzione della protezione del prodotto e della salvaguardia delle varietà tipiche. Compresa quella piacentina, con i suoi 250 ettari di aglio coltivati , di cui circa 60 di aglio bianco piacentino in attesa di riconoscimento.