Kamlalaf, nuove testimonianze dal Burundi

Eccoci finalmente al primo giorno di campo di lavoro. Si inizia il martedì e si termina il sabato della settimana successiva con una grande festa per aver trascorso 15 giorni insieme. L’intento é duplice: da una parte il premio finale (che consiste nell’occorrente per la scuola – quaderni, biro, matite e altro – perché in Burundi se non si hanno gli “strumenti” non si puo frequentare) con l’aggiunta di un pasto, una doccia e la formazione giornaliera, dall’altra il fatto di socializzare e diventare amici.

Radio Sound

Ogni gruppo di lavoro è formato da 18 ragazzi tra i 16 e i 20 anni: nove femmine e nove maschi, un animatore africano e un “muzungo”, ovvero uno di noi. Ciascun team è rappresentato da una parola che lega l’esperienza del campo a quella della formazione: quest’anno si parla di tolleranza, declinata nelle diverse lingue del mondo.

Finita la colazione (un the burundese e un panino vuoto) si parte con gli attrezzi – tre carriole, due zappe, tre pale, un piccone, tre taniche da 20 litri, secchi per l’acqua e un bidone – alla volta dei cantieri, nei quartieri settentrionali di Bujumbura: Kamenge, Kinama, Cibitoke, Ghiosha. Percorriamo la strada insieme, ma arrivati a destinazione le ragazze si occupano di recuperare l’acqua, mentre i ragazzi preparano la terra. Il miscuglio di fango che ne deriva serve per fabbricare i mattoni, che una volta pronti saranno usati per costruire nuove case.

Raggiunti i 2500 mattoni, si passa a un altro cantiere. A spezzare la giornata c’è il pasto, in genere un piatto di riso e fagioli con l’aggiunta di qualche verdura, talvolta uova, carne, patate o frutta. E così si continua fino alla fine, qando tante foto e qualche lacrima sanciscono il momento di salutarsi… Adesso tutti alla “maison”, e arrivederci, chissà, magari al prossimo anno.

Valentina Riscazzi

 

La luce nuova entra dalla finestra insieme al fumo emanato dalla cucina in cortile. Si sente il vociare degli spaccalegna e delle donne sotto la finestra. La sveglia suona, è ora di alzarsi.

Il primo compagno di lavoro che conosco è Jackson: alto, slanciato, tratti fini e aria spensierata. Poi Lucienne, Valjean, Le Bronze e Justine. Mi guardano perplessi sbarrando gli occhi, ripetono più volte il mio nome che suona goffo alle loro orecchie. In mezzo al campetto si innalza ogni mattina la bandiera della pace e si canta qualche canzone in francese.

Attraversiamo Kamange, uno dei sei quartieri della capitale, per raggiungere Mirango II: il caos impera, sento tante voci che urlano « muzungo » e capisco che parlano di me. Girando tra i vicoli e le strade sono assalita da tanti bambini che corrono a piedi nudi e ridono a crepapelle. Mi sento molto osservata e all’inizio non è piacevole, ma giorno dopo giorno ci si fa un po’ l’abitudine. Vado a cercare un luogo adatto nel quale reperire l’acqua insieme alle ragazze; mentre camminiamo sono molto guardinghe  e scrutano ogni mio movoimento, ogni sguardo. E’ molto emozionante fare subito conoscenza e parlare di sé. Alcune di loro sono timide e molto riservate, altre si mettono in gioco subito e non hanno problemi a fare tante domande, su di me e sul mio Paese. I ragazzi sono molto solari, cantano tanto per farsi forza a vicenda.

Fabbricare mattoni è un’esperienza tutt’altro che semplice, occorrono pazienza, un po’ di forza e tanta volontà. Da subito cerco di dare il meglio di me per rendermi utile, anche se dal punto di vista fisico e psicologico risulta faticoso, perché ci si sente giudicati, molto osservati.

L’importante, però, è lavorare tutti insieme e proprio questo è lo scopo del camp de travail et formation: conoscersi e confrontarsi su differenti tematiche. Dà molta soddisfazione pensare di aver contribuito alla costruzione di una casa, proprio come dice la canzone che si sente passare nell’aria al mattino, tra le voci dei ragazzi: «Ma maison porte ton prénom».         

Costanza Rizzi

 

Ed eccoci qua… ormai siamo entrate appieno nella vita del Centro, tra i 450 giovani divisi in 23 gruppi di lavoro. Uno dei momenti più belli è la mattina presto: ci si saluta tutti con affetto, si scambiano due parole e poi le voci si mescolano in una sola mentre intoniamo le canzoni del Centro. Quelle stesse canzoni, semplici, belle, orecchiabili che a volte ci ritroviamo a canticchiare in camera di notte, a luce spenta, prima di dormire.

Dopo la mattinata trascorsa a fabbricare mattoni, nel pomeriggio ci attende la formazione, con diversi incontri su vari temi: Aids, diritti umani, tolleranza, guerra, approfonditi con film, dibattiti, sketch comici e attività sportive.

E’ incredibile, il tempo corre velocissimo. Se ripenso ai primi giorni di lavoro, é stato difficile. Noi ¨mozungo¨ (i bianchi) siamo al centro dell’attenzione, delle risate, degli scherzi dei nostri compagni di lavoro. Senti pronunciare il tuo nome nei loro discorsi confusi e veloci. La diffidenza è fortissima, quasi ostilità. Ma la cosa più importante è non perdersi d’animo, continuare a lavorare, rispondere alle provocazioni, sentirsi anche un po’ ridicoli. Mettersi in gioco.

Cosi, dopo i primi i giorni in cui fai un pensierino agli amici al mare e ti senti un po confusa, all’imrovviso ti ritrovi a ballare ¨Jambo¨per la strada, mentre François canta in kurundi e swahili e tu in italiano ed inglese; fai discorsi profondi con  Mussa, sulla strada del ritorno, parlando di guerra, etnie e pace; o scherzi con Diana e aspetti Chantal che ti aiuta durante il lavoro per portare insieme il secchio. C’è Justine che ti regala un pacchetto di pop- corn,  Jean- Marie che alza il pollice verso di te e sorride, raccontando di quanto oggi tu abbia lavorato, Juma che ti ringrazia. Chi prende le tue difese davanti alla gente del luogo; chi ti tiene per il braccio attraversando la strada; chi ammonisce duramente quanti ti chiamano ancora ¨mozungo¨ e non col tuo vero nome; chi ti invita a sedersi vicino durante i pasti; chi si preoccupa di lasciarti riso e carote in un angolo del piatto (per evitare i fagioli); chi ti invita ripetutamente a riposarti un attimo, chi ti sussurra un ¨merci beaucoup¨dopo un semplice consiglio…

Piccole cose, lampi di gentilezza, gesti che qui hanno un grande valore, che ti fanno bene e ti fanno sentire bene! Forse, per i tuoi compagni di lavoro, per il tuo gruppo non sei piu un ¨mozungo¨ qualsiasi, ma finalmente Stefania.

 

Stefania Albertazzi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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