Anche il sindaco Roberto Reggi è intervenuto oggi all’incontro con l’ex procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia Carla Del Ponte, sul tema “Srebrenica 1995-2011, cosa è cambiato?”, presso la sala del Mappamondo di Palazzo Montecitorio a Roma. Sono quindi previsti gli interventi di Emma Bonino, Riccardo Migliori, Francesco Guida e Luca Leone. L’appuntamento, che sarà concluso dalle letture di Nela Lucic, è promosso con la collaborazione della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma, dell’associazione Spes e della comunità bosniaca in Italia. Stasera invece, sempre nell’ambito dell’anniversario del genocidio di Srebrenica, Roberta Biagiarelli sarà ospite alle 23.30 su Rai Tre. Conduce Maurizio Mannoni. L’attrice sarà il 24 luglio a Fiorenzuola per “Il racconto di una transumanza italo – bosniaca”.
20° anniversario della tragedia del Brentei, il ricordo dell’Amministrazione comunale
Anche una delegazione del Comune di Piacenza, costituita dall’assessore al Futuro Giovanni Castagnetti e da tre agenti della Polizia Municipale, ha partecipato domenica 10 luglio alla cerimonia tenutasi presso il rifugio Brentei, in memoria dei sette ragazzi che vent’anni fa persero la vita in una tragedia mai dimenticata.
Insieme al curato della parrocchia di Nostra Signora di Lourdes, don Matteo, e a due familiari delle vittime, i rappresentanti dell’Amministrazione comunale hanno raggiunto a piedi il rifugio, accompagnati tra gli altri dal vicesindaco di Madonna di Campiglio Valter Vidi, che nel 1991 fu tra i soccorritori: qui, in mattinata, è stata officiata, con la partecipazione del parroco di Pinzolo, una santa messa in suffragio. Nel pomeriggio, a Madonna di Campiglio, si è tenuto un ulteriore momento di commemorazione nell’ambito di un incontro pubblico con le associazioni di volontariato – dalla Protezione Civile al Soccorso Alpino, alle Pubbliche Assistenze, per citarne alcune – nel corso del quale si è rimarcata l’importanza della solidarietà e dell’impegno per gli altri.
Anche nella nostra città, domenica 17 luglio – giorno del triste anniversario – sarà celebrata una funzione religiosa, alle 10.30 presso la chiesa di Nostra Signora di Lourdes, alla presenza dei primi cittadini di Piacenza e Madonna di Campiglio. Al termine della messa, che sarà occasione per rinnovare l’abbraccio della comunità piacentina a tutte le famiglie coinvolte, il sindaco Roberto Reggi consegnerà una targa di riconoscimento ai soccorritori che intervennero in quella drammatica circostanza.
IL DISCORSO DI REGGI A MONTECITORIO
Come sindaco di Piacenza – città che nel 2006 ha avuto il privilegio di ospitare il Consiglio mondiale della Diaspora bosniaca – sono onorato di poter intervenire oggi in questa prestigiosa sede, alla presenza di personalità illustri e dei maggiori esponenti della comunità bosniaca in Italia. Perché ricordare non è una formalità, né esprime un mero dovere istituzionale: è invece un atto di responsabilità morale e civile, attraverso il quale tributiamo l’omaggio solenne e condiviso alle vittime di uno dei più atroci crimini contro l’umanità che abbiano segnato la storia del Novecento, perpetuandone la memoria e traendo, da quel dolore, un monito a riflettere sul valore dell’apertura al prossimo, della tolleranza, della coesistenza e dell’incontro tra le differenze.
Come cittadino di un Paese democratico, che tra i princìpi fondanti della propria Costituzione pone la dignità e l’uguaglianza di tutti gli individui a prescindere dalla loro nazionalità, etnia o confessione religiosa, l’orrore e il dramma di Srebrenica rappresenteranno sempre, per me, lo spettro di un buio che offusca e annichilisce il cuore dell’uomo, la traccia indelebile di una frattura che divide e impedisce l’intrecciarsi di radici tra loro diverse, sebbene così vicine da non potersi ignorare.
Ancora oggi, a 16 anni di distanza da quel massacro, mentre l’opinione pubblica internazionale si fa spettatrice e giudice al tempo stesso nel processo che chiede conto a Ratko Mladic di un passato che non si cancella, possiamo fare nostre le parole di Abdulah Sidran, domandandoci se “E’ questa la pace? E’ così che finisce la guerra? Quando tace l’arma di ferro, ma fino al cielo urla un cuore materno?”. Come ha scritto questo grande poeta bosniaco, “… ci insegnano che la guerra è finita. E che nessuno può più guardare al passato… Ma davvero potete dire a una madre di non guardare il figlio? A una sorella inviare l’ordine di non guardare il fratello?”. Per chi è rimasto, ci dice Sidran, non c’è più salute, non c’è più ragione, non c’è più vita. Persino la voce che esce di gola, l’anelito di ogni respiro è quello di coloro che sono morti.
Cosa è cambiato da allora, è l’interrogativo che dà il titolo all’incontro odierno. Certo, neppure lo scorrere del tempo riesce a rimarginare le ferite di chi ha visto spezzarsi per sempre la propria quotidianità, né può colmare il vuoto di quelle case in cui l’assenza degli affetti più cari è diventata presenza insostenibile. Mi piace pensare, tuttavia, che vi sia una consapevolezza nuova, che all’impulso fratricida della rappresaglia – risvolto cruento di ogni conflitto – si sia sostituita l’esigenza profonda di una giustizia scevra dalla violenza e dall’odio, improntata innanzitutto al rispetto della persona umana.
E’ vero, non possiamo dimenticare che sono occorsi dodici anni perché la Corte de l’Aja pronunciasse, nella lettura di una sentenza del marzo 2007, la definizione di “genocidio” per quella terribile operazione di pulizia etnica che in pochi giorni, nel luglio del 1995, vide cadere migliaia di cittadini musulmani inermi: adolescenti, uomini maturi, anziani. Né possiamo tacere le omissioni e le colpe, che pure ci furono, da parte della comunità internazionale. Ma riflettere su ciò che è stato, come stiamo facendo in questa occasione, può aiutarci a concretizzare l’impegno affinché simili tragedie non abbiano a ripetersi in futuro.
E’ in questa stessa accezione, che parlavo del ricordo come atto di responsabilità. Come presa di coscienza che la coesione e il senso di appartenenza di un popolo sono un patrimonio interiore che nessuna oppressione può soffocare, ma al tempo stesso come scelta coerente e dovere della politica, per quanto complesso da attuare, di costruire una società più accogliente, orientata al confronto, alla valorizzazione delle specificità e delle tradizioni di cui ciascuno è portatore. E’ dalla conoscenza reciproca, infatti, che possiamo trarre la forza di abbattere i muri più resistenti: vale quando parliamo di immigrazione, di multiculturalità, di dialogo interreligioso.
Sono convinto che rendere onore alle vittime di Srebrenica ed essere partecipi dei sentimenti dei loro familiari e amici significhi soprattutto questo. Guardare avanti perseguendo un ideale di universalità che non sia retorica, ma reale e concreta capacità di integrazione.
Grazie.