È una risorsa naturale rinnovabile e perennemente disponibile. Eppure, continuare a sfruttare l’acqua come fatto finora potrebbe determinare nel medio-lungo termine una riduzione della qualità delle acque potabili. È quanto sostiene un gruppo di studiosi della facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che, per limitare i danni causati da uno sfruttamento non-sostenibile delle risorse idriche, ha dato vita a “Bevi sicuro”, un progetto interdisciplinare in sintonia con i temi dell’Expo 2015. Ambiziosi gli obiettivi da raggiungere: mettere a punto un modello che favorisca la diffusione sul territorio di un uso e di una gestione consapevole dell’acqua nelle città, nelle campagne e nelle attività industriali. E, nello stesso tempo, contribuire a promuovere una nuova consapevolezza della risorsa acqua. “Bevi sicuro” è promosso dai centri di ricerca della sede di Piacenza-Cremona: Centro di ricerca sull’agricoltura sostenibile Opera e Centro Ricerche Biotecnologiche (Crb), ed è cofinanziato da alcuni soggetti pubblici (EuroPass, Regione Lombardia) e privati (Syngenta, Suez Ondea, Sprim, DowAgroSciences). Il programma progettuale, che durerà fino all’evento di Expo 2015, si svolge prevalentemente nel territorio lombardo ed emiliano e coinvolge giovani ricercatori della scuola di dottorato Agrisystem. Tra le sue principali finalità, la realizzazione di una serie di ricerche sulla sicurezza alimentare, sulla qualità alle fonti, sull’educazione alimentare, sul rapporto con l’agricoltura e il settore agro-industriale. “Le acque potabili somministrate alla popolazione sono in genere di tipo oligominerale e l’analisi in dettaglio dei valori dei parametri in diverse aree della città mettono in luce quali sono i punti deboli della fornitura», spiega Ettore Capri, docente di Chimica agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del centro di ricerca Opera. “Da un punto di vista qualitativo, l’acqua è dura e ciò influisce sul suo consumo – aggiunge il professor Capri –. Ma tale parametro in nessun caso è mai stato considerato fonte di rischio per la salute umana. Anzi studi epidemiologi hanno messo in evidenza una correzione inversa tra le patologie cardiovascolari e la durezza delle acque potabili. Il vero problema, invece, è rappresentato dalla presenza di composti azotati, come i nitrati che derivano dello smaltimento delle acque di scarico e dell’ossidazione di prodotti di scarto di origine animale e umana”. Secondo il docente, tuttavia, la qualità e la quantità di prelievo di acque sotterranee è strettamente legato al pregio delle acque potabili e, indirettamente, al benessere dei cittadini e delle amministrazioni, per non parlare della qualità ecologica sia degli acquiferi stessi, sia delle acque superficiali e degli ecosistemi terrestri connessi al corpo idrico sotterraneo. “Se considerata a livello globale, l’acqua, superficiale e sotterranea, è una risorsa naturale rinnovabile, a livello regionale – avverte il professor Capri – non è così: i fabbisogni idrici non coincidono con la reale disponibilità, in quanto l’impiego di acqua è maggiore rispetto al quantitativo idoneo per mantenere un adeguato sostentamento della risorsa”. Sulla base di dati rilevati tra il 1998 e il 2007 risulta che in Europa il 21% in media di tutta l’acqua è stato impiegato per la fornitura di acqua pubblica, il 22% in media per l’agricoltura, 12% per l’industria e il 45 % per la produzione di energia. In Italia, in linea con l’andamento globale di sfruttamento della risorsa, il maggior quantitativo di acqua è usato per scopo agricolo, seguito da quello industriale e domestico. “Non a caso – chiarisce il docente di Chimica agraria – le nostre ricerche sono partite prendendo in considerazione le attività con maggiore consumo di acqua, come la risicoltura e la produzione alimentare in serra, e quelle relative al settore agro-industriale, ossia i materiali d’imballaggio nella loro fase di produzione, di riciclo e di depurazione. Puntiamo a realizzare progetti non solo di carattere tecnico-scientifico, ma che abbiano anche una ricaduta sociale, ovvero che si basino sull’analisi dell’intero ciclo di vita dei prodotti al fine di sviluppare linee guida orientate alla riduzione dell’impronta idrica nel settore agricolo. Uno studio effettuato in provincia di Parma, per esempio, ha valutato la sicurezza alimentare dell’acqua potabile. Mentre nel territorio cremonese un’analisi pedagogica studierà le modalità per rafforzare la comunicazione e accrescere la consapevolezza dei cittadini sull’importanza della risorsa acqua”.