Sono due gli indagati per la marea nera che nel febbraio scorso arrivò ad infestare le acque del Po, anche nel tratto piacentino. Si tratta di Giuseppe e Rinaldo Tagliabue, 54 e 49 anni, titolari della Lombarda Petroli di Villasanta. L’accusa, per il disastro ambientale che portò 2 mila e 600 tonnellate di idrocarburi, prima nel Lambro e poi nel Po, sarebbe di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sugli oli minerali. Ma non solo, visto che i due, considerati fino all’anno scorso “gli Onassis della Brianza”, sono sospettati anche di aver favorito lo sversamento, con la collaborazione di alcuni operai. Gli inquirenti si stanno concentrando sui vari passaggi che sarebbero stati necessari perché gli idrocarburi finissero nelle acque. Troppi per essere un incidente. I sospetti che aleggiano per i due, che prefigurerebbero una vera e propria “Gomorra” brianzola, riguarderebbero la dismissione dell’impianto, ma soprattutto la zona residenziale che sarebbe dovuta nascere sui quei terreni, costruita dal gruppo Addamiano e che, scherzo del destino, si sarebbe chiamata Ecocity. In vista di questo passaggio, la Lombarda Petroli, era passata da 300 operai a poco più di 10, anche se il ridimensionamento non era avvenuto completamente. Le quantità di idrocarburi stoccate erano sempre di ingenti dimensioni, anche se non venivano segnate nei registri contabili non risultano tasse versate per quella quantità di carburanti o oli industriali. Troppo costosa la bonifica? Per questo i pubblici ministeri di Monza, Emma Gambardella e Donata Costa, continueranno negli interrogatori. A un anno dal disastro, che portò il materiale inquinante fino al mare Adriatico, si fanno sempre più pressanti i dubbi avanzati prima della vicenda dagli ambientalisti. Secondo alcune loro relazioni, datate 2010, si leggerebbero rassicurazioni eccessive da parte delle istituzioni locali e ritardi nei soccorsi (sversamento alle 2.30, segnalazione alla sala operativa della Protezione civile regionale alle 10.25). Inoltre, Giuseppe Tagliabue, era già stato sotto inchiesta per aver violato la legge. In particolare la normativa Seveso, che consente di stoccare un massimo di 2.500 tonnellate di materiale inquinante. I due imprenditori, difesi dall’avvocato Giuseppe Bana, si sono comunque dichiarati innocenti, anzi vittime di quanto accaduto la notte tra il 23 e il 24 febbraio del 2010. Dal punto di vista ambientale, dopo un anno dal disastro la situazione risulta essere ancora critica considerando la tipologia dei rifiuti e del materiale inquinante. Imponente anche il danno economico considerando gli allevamenti ittici e la pesca fiorente che si svolge lungo il corso d’acqua.