Nel corso della riunione, svoltasi stamani, dell’Osservatorio Prezzi, l’assessore al Commercio Katia Tarasconi ha condiviso, con i presenti, le sue considerazioni in merito alla classifica pubblicata alcune settimane fa dal Sole24Ore, secondo la quale Piacenza risultava al 12° posto tra le città italiane nella classifica del “caro spesa”. A questo proposito, l’assessore ha sottolineato come la notizia potesse essere facilmente interpretata in maniera sbagliata, innanzitutto in virtù del metodo utilizzato per l’inchiesta: “I dati di cui si è avvalso il quotidiano economico – ha spiegato Katia Tarasconi – consistono nei prezzi dei prodotti di consumo registrati mensilmente dagli Uffici comunali di Statistica, resi noti con regolarità per la consueta rilevazione coordinata in tutta Italia dall’Istat. Un’indagine mensile che è finalizzata non a confrontare, tra località diverse, il livello assoluto dei prezzi, bensì a misurare l’andamento dell’inflazione nel tempo”.
“Tuttavia – precisa l’assessore – per arricchire le annotazioni dell’Osservatorio Prezzi e Tariffe, l’Istat ha dato la propria disponibilità a diffondere anche le informazioni relative ai livelli dei prezzi rilevati. Qual è l’equivoco di fondo? Innanzitutto, il paniere degli alimenti di largo consumo selezionato per la ricerca rappresenta solo una parte di quello più generale per il quale vengono calcolati gli indici dei prezzi al consumo diffusi mensilmente dall’Istituto di Statistica. In secondo luogo, ma è qui che nascono le incomprensioni, la rilevazione viene effettuata, in tutti i punti vendita, non su tipologie identiche – per varietà, marca e confezione – di uno stesso prodotto (le cosiddette “referenze”), bensì sulla qualità più venduta nel singolo negozio. Che può essere, ad esempio, il prosciutto cotto meno caro in quel periodo al banco della grande distribuzione, o quello di più alta qualità in gastronomia”.
Dal prezzo della referenza deriva la quotazione di ogni alimento: un dato che può variare non solo tra una città e l’altra, ma anche da un mese a quello successivo, con riferimento alla stessa località, in base al prodotto più venduto in quel momento. Per tale ragione, anche Istat sconsiglia di utilizzare i dati sui livelli dei prezzi per il confronto tra le diverse città.
“Da un’analisi del paniere pubblicato dal Sole24Ore – conclude l’assessore Tarasconi – si evince che la spesa media per i piacentini è pari a 3749 euro, ma se i consumatori della nostra città volessero acquistare il prodotto meno caro, seppure non in offerta, spenderebbero 2499 euro, con una differenza di 670 euro rispetto alla città con la spesa minima più bassa (Lodi, con 1829 euro) e 500 euro in meno rispetto alla città con la spesa minima più alta (Forlì, che supera i 3000 euro). Se i piacentini acquistassero la qualità migliore per ogni categoria, per il paniere considerato si arriverebbe a spendere 6130 euro. Ciò significa, in sostanza, che è impreciso definire la nostra città tra le più care d’Italia: sarebbe più corretto dire che, per fortuna, per una capacità di spesa probabilmente più ampia rispetto ad altre zone d’Italia, i piacentini scelgono di non rinunciare alla qualità di ciò che portano in tavola. Da parte sua, l’Amministrazione comunale non può che confermare la propria attenzione alla tutela della trasparenza, della libera concorrenza e dei diritti dei consumatori”.