L’olio emiliano è proiettato verso la caratterizzazione della tipicità. Un gruppo di lavoro – che riunisce mondo istituzionale e accademico – è al lavoro per selezionare le piante geneticamente migliori e più adatte al territorio delle province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. L’obiettivo finale è ottenere un olio a denominazione geografica che caratterizzi l’area di produzione locale. La novità è emersa nel corso della mattinata di studi dedicata all”Olivo sulle colline emiliane”, ospitata dalla sala Bertonazzi di palazzo Agricoltura. Ad aprire i lavori l’assessore provinciale Filippo Pozzi e il presidente della facoltà di Agraria dell’Università Cattolica di Piacenza Lorenzo Morelli.
“Questo tipo di coltivazione – ha spiegato Pozzi – a Piacenza inizia a rappresentare una piccola grande realtà. Sono quasi gli 35 ettari di olivi che, speriamo, possano dare origine a un prodotto sempre più qualificato e connotato territorialmente. Appuntamenti come quello odierno sono un utile strumento per stilare un bilancio delle esperienze messe in campo fino ad oggi”.
Al gruppo di studio per l’individuazione delle piante migliori, destinate a produrre un olio che aspira a fregiarsi della denominazione, per la Provincia di Piacenza partecipa il dirigente Albino Libé. Altri interlocutori istituzionali: le Province di Parma, Reggio Emilia e Modena. Le unità operative contano la presenza della professoressa Virginia Ughini per l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, e di: Ibimet-Cnr, (l’istituto di Biometeorologia afferente al Consiglio nazionale delle ricerche), l’Istituto professionale di Stato per l’Agricoltura e l’ambiente, l’ateneo di Parma del responsabile scientifico Andrea Fabbri e il Cripv (Centro ricerche produzioni vegetali), che si occupa del coordinamento e della divulgazione dei risultati
Il gruppo sta lavorando su una popolazione complessiva di oltre 360 vecchie piante di olivo, una sessantina delle quali sul suolo piacentino. Per ciascuna è in corso un attento esame dal punto di vista morfologico, genetico e del “comportamento” agronomico. Vogliamo – spiegano gli esperti – individuare le piante più “performanti”, che garantiscano una migliore produttività e un prodotto unico, facilmente determinabile e identificabile con il territorio.
Il tavolo di questa mattina ha rappresentato anche l’occasione per stilare un bilancio dell’ultima produzione di olive stagionale che – è stato spiegato – ha risentito notevolmente di freddo, nebbia, neve e galaverna dell’inverno 2009\2010. Gli studiosi hanno quantificato i danni, per lo più a carico delle piante più giovani. Si stima di poter recuperare le chiome danneggiate nello spazio di due o tre anni. I fattori meteorologici avversi hanno determinato una consistente flessione nella produzione. Nel complesso le colline piacentine ospitano un totale di circa 15mila piante.
Quella dell’olivo è una coltivazione antica per Piacenza, ma con i secoli la memoria di queste colture è andata scomparendo. In un momento come quello attuale – in cui si teorizza da più parti la necessità di un’agricoltura più equa e sostenibile – l’olivo rappresenta un’ottima coltivazione a basso impatto ambientale che tecnici e agronomi, d’intesa con le istituzioni, reputano sia da riabilitare. E mentre le colline si ripopolano e fioccano i progetti di sviluppo, emergono testimonianze storiche sulle presenze delle piante nel piacentino. Una delle ultime è quella di Antonio Boccia, risalente al 1805 che nel suo “Viaggio ai monti di Piacenza” cita la presenza di olivi nelle zone comprese tra Castellarquato e Lugagnano e in alcuni territori dell’attuale comune di Vernasca.