A fondo pagina l’intervista di Gianmarco Aimi a Giovanni Ayala.
Ricorre oggi il diciottesimo anniversario della strage di via d’Amelio in cui fu ucciso il giudice antimafia Paolo Borsellino, 57 giorni dopo quella di Capaci in cui morì Giovanni Falcone. Una data che anche a Piacenza verrà ricordata, in particolare dai giovani dell’Italia dei valori, che hanno dedicato la loro sede di via Garibaldi ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per non dimenticare il loro sacrificio.
Per celebrare questa data, spartiacque nella storia recente del nostro paese, abbiamo sentito uno dei colleghi storici, sia di Borsellino che di Falcone. Si tratta di Giovanni Ayala, che per più di dieci anni condivise con i due magistrati simbolo della lotta anti mafia lavoro, impegno civile e professionale ed ora, dopo una breve parentesi in politica, lavora come Consigliere presso la Corte d’appello dell’Aquila. Abbiamo ripercorso insieme a lui gli ultimi giorni, prima di quel fatidico 19 luglio 1992, i momenti appena successivi, con l’ondata di sdegno dell’opinione pubblica, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove il contrasto alla mafia è avvalorato dai numerosi arresti di latitanti, che pero fanno da contraltare ad alcune leggi che non sembrerebbero andare nella stessa direzione. Dopo 18 anni, Giovanni Ayala ci restituisce un ricordo di quegli anni ancora vivo e vibrante che, grazie a persone come lui, possiamo riassaporare per non dimenticare Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tutti quelli che persero la vita nell’esercizio del proprio dovere. D’altronde, come disse un giorno lo stesso Borsellino: “Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento…Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”.