Omelia del vescovo Mons. Gianni Ambrosio

 

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Carissimi fratelli e carissime sorelle,

rendiamo lode a Dio per il dono di sant’Antonino, martire, diventato patrono della nostra città di Piacenza e della nostra comunità ecclesiale. Il suo culto, come sappiamo, è antichissimo e la sua memoria è sempre stata viva nella città e nella diocesi. Possiamo dire che fin dalle sue origini la comunità cristiana di Piacenza ha riconosciuto in questo giovane martire l’amico vero che, con la sua intercessione e con il suo esempio, aiuta a tenere viva la fiamma della fede in Dio, quella fede che riconosce Dio come Padre e accoglie il suo progetto di amore e di salvezza. Possiamo anche dire che, nella lunga storia della nostra comunità, sant’Antonino è stato un sicuro punto di riferimento per ravvivare quell’amicizia che è alla base della vita stessa della comunità cristiana e della comunità civile.
Oggi siamo qui a ringraziare Dio per la lunga storia di fede, di speranza e di fraternità di questa nostra comunità. Questa storia, che ha al suo inizio la fede coraggiosa del giovane Antonino, è una testimonianza preziosa che non riguarda solo il nostro passato ma anche il nostro presente e per il nostro futuro. Siamo qui oggi a rendere grazie del “tesoro” – è la felice espressione dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato nella seconda lettura – che abbiamo ricevuto: è un grande dono di cui vogliamo essere maggiormente consapevoli, è un grande patrimonio che vogliamo accogliere e valorizzare.
Insieme alla gratitudine e alla riconoscenza, siamo qui oggi perché sant’Antonino e tutta la storia di ‘vita buona’ che è derivata dalla sua fede coraggiosa, ci chiedono di saper manifestare nella vita odierna la fede in Dio, per essere anche noi testimoni di quell’amore di Dio che Cristo ci ha rivelato.  
Per questo abbiamo avviato la Missione popolare diocesana. Perché la testimonianza resa a Cristo da sant’Antonino non sia un semplice ricordo, importante quanto si vuole, ma confinato nel passato e limitato ad una festa. La memoria del patrono interpella il nostro presente e vuole essere di aiuto e di incoraggiamento alla nostra Chiesa, perché continui ad essere capace di annunciare e testimoniare il Vangelo. È la missione della Chiesa, è la nostra missione. Nella nostra predicazione e nel vissuto della Chiesa, vogliamo annunciare e testimoniare il Signore Gesù: egli è il Figlio del Dio vivente, il Figlio amato che il Padre ha mandato a noi per rivelarci il suo amore e per donarci la gioia di poter vivere come suoi figli.
Noi accogliamo questo grande dono che ci impegna oggi a testimoniare il volto gioioso della fede cristiana. Un impegno che è rivolto alla nostra Chiesa e a ciascuno di noi: perché non è mai scontato che al centro della nostra vita ci sia il mistero dell’amore di Dio che Gesù Cristo ci ha rivelato.  
Questo impegno è rivolto a noi anche perché, a volte, siamo troppo facilmente rassegnati di fronte alla dimenticanza di Dio, dimenticanza soprattutto pratica, a volte anche teorica. Ma proprio questa dimenticanza è la grande questione che interpella tutti: interpella la nostra Chiesa e la nostra città, la nostra cultura, il nostro futuro. Se siamo convinti che anche i nostri fratelli portano nel cuore la domanda che riguarda Dio, allora chi ha la grazia di conoscere e di amare Dio non può non aiutare i fratelli ad incontrare Gesù Cristo: egli ci conduce alla conoscenza intima del Dio vivente e ci libera dagli idoli di turno che ci rendono schiavi.
L’annuncio e la testimonianza del Vangelo di Gesù esigono la disponibilità a donare anche la vita. Il martire è il testimone per eccellenza. Nella prima lettura tratta dal libro dell’Apocalisse, si parla dei martiri che hanno vinto “l’accusatore”, colui che contestava l’autenticità e l’importanza della fede nel Dio vivente. Hanno vinto, precisa il libro dell’Apocalisse, “per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio”. Il martire cristiano è tale in quanto è unito a Cristo che, come agnello, ha donato la sua vita – il suo sangue – per noi. Il martire cristiano è colui che crede veramente in Dio, fino ad essere disposto a donare la sua vita, pur di affermare la preziosità della sua fede in Dio e del suo amore verso Dio: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.  
Ma il martire cristiano – merita pure questo di essere ben evidenziato – afferma anche il suo amore verso gli uomini, un amore così grande che arriva a comprendere gli stessi persecutori, fino a perdonarli.
Come Cristo che dona la vita, così, in unione profonda con Lui, il martire cristiano dona la propria vita e attualizza nella storia la vittoria dell’amore sull’odio e della libertà sulla schiavitù. Il suo gesto è gratuito e libero, non è opportunistico o strumentale: è il gesto di un cuore che ama e di una mente che sa che c’è realmente ‘qualcuno’ per cui vale la pena di spendere e donare la vita.  
La nostra Chiesa vuole poter offrire anche oggi una testimonianza simile. Vuole dunque essere più unita a Cristo per predicare Cristo: “noi non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo”, afferma l’apostolo Paolo. Quest’affermazione dell’apostolo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, deve costituire il nostro costante impegno: “il volto di Cristo” – come ancora dice san Palo – possa risplendere su di noi e possa affascinare i nostri giovani e la loro ricerca di verità, di senso dell’esistenza.
La nostra Chiesa vuole mostrare con i fatti che la fede in Dio è il dono prezioso che dà senso pieno e gioioso alla vita: per questo la fede esige la disponibilità a donare persino la vita terrena.
Ma sappiamo bene, come ancora ricorda l’apostolo, che “abbiamo un tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”. Siamo consapevoli che il nostro impegno, se fosse solo opera dell’uomo, sarebbe inefficace. Anzi potrebbe determinare in noi la presunzione dell’autosufficienza. Per questo siamo qui ad invocare la potenza che viene da Dio perché le “opere buone”, di cui vogliamo essere testimoni, siano la conseguenza di quella nuova realtà nella quale siamo entrati per grazia: le opere siano buone in quanto frutto dello Spirito che ci è donato (cf Ef 2,1-10, Gal 5,19-23).

Carissimi fratelli e sorelle, l’impegno a testimoniare con gioia la fede nel Dio vivente è il servizio che la comunità cristiana offre all’intera comunità civile. In un periodo in cui prendiamo tutti coscienza che è in gioco l’uomo, il senso della nostra vita e delle relazioni umane, vogliamo far nostro e rinnovare il patrimonio che, nel corso dei secoli, la nostra comunità ha saputo costruire con l’aiuto del Signore e con l’impegno di tutti. Pensiamo alla qualità della vita, in senso pieno e profondo, superando le visioni piatte, a una sola dimensione. Pensiamo alla generosità espressa nel mettere al mondo i figli e nell’impegno educativo per accompagnarli nel loro cammino verso la maturità. Pensiamo alla grande rete di carità, di solidarietà effettiva, di disponibilità nei confronti di tutti, in particolare dei più bisognosi e dei più emarginati. Pensiamo alla creatività e alla genialità espressa nell’arte: sono lieto che venga premiato quest’anno uno scultore che ci stimola a guardare la realtà con occhi nuovi.
Questo nostro grande patrimonio è arrivato fino a noi, ma noi rischiamo di essere attratti e distratti da altre cose. Abbiamo bisogno della luce che ci aiuti a guardare in faccia le questioni e a trovare il cammino per crescere insieme nella verità e nella responsabilità. Invochiamo il coraggio di andare oltre, per accogliere l’appello che i segni dei tempi ci propongono anche attraverso le situazioni non semplici. Chiediamo il dono della speranza per ravvivare le risorse di cuore e di intelligenza in modo da poter affrontare le grandi sfide che stanno davanti a noi e dentro di noi.  
La memoria grata e riconoscente per il dono di sant’Antonino che ha accolto e testimoniato la fede in Cristo nel difficile contesto della cultura pagana, ci assicura che non siamo mai soli: il Signore stesso è il nostro compagno di viaggio, come è stato compagno di viaggio dei discepoli in cammino verso Emmaus. Solo Lui, presente in mezzo a noi, ci fa comprendere il progetto di Dio e il senso degli avvenimenti, solo Lui illumina le menti e scalda i cuori, solo Lui ci dona la forza di “narrare” ai fratelli “ciò che era accaduto” e ciò che continua ad accadere “lungo la via” (Lc 24, 33-35). Amen.

†Gianni Ambrosio