“Concordiamo con le osservazioni emerse nel dibattito in corso per l’approvazione del Ptcp provinciale che vedono un certo scetticismo verso il fotovoltaico in pieno campo – commenta Michele Lodigiani Presidente di Confagricoltura Piacenza – La convinzione che i problemi si risolvano con gli slogan e che sia solo una la fonte energetica “buona”, degna di essere sviluppata è irrazionale e frutto di un’incultura ambientalista profonda e preoccupante. E’ fin troppo ovvio che soluzioni davvero utili all’ambiente e all’economia del Paese non possono che scaturire da un equilibrato mix di tecnologie, rinnovabili e non”. I consistenti incentivi riconosciuti alla produzione di energia fotovoltaica hanno provocato negli ultimi anni un vero e proprio “boom” del settore e si è creata un’economia virtuosa che ha costituito un fattore non secondario nel contrasto alla profonda crisi economica. Al settore agricolo, che per disponibilità di spazi e abbondanza di superfici ha una vocazione intrinseca all’impiego di questa tecnologia, è stato riconosciuto un sostegno in più, con l’inquadramento della produzione energetica fra le attività connesse ed il conseguente beneficio fiscale. L’energia fotovoltaica presenta, tuttavia, limiti che stanno emergendo in modo evidente. Alludiamo, in primo luogo, agli aspetti paesaggistico/ambientali: ettari ed ettari di campagna vengono sottratti alla produzione agricola e si coprono di pannelli neri. “Da tempo – continua Lodigiani – chiediamo che nelle aree rurali l’insediamento di impianti fotovoltaici possa essere sostenuto laddove c’è reale collegamento con l’azienda agricola. Le finanziarie, se vogliono investire nel settore, lo facciano nelle aree industriali delle città. Certo la situazione è difficile I seminativi sono una grande risorsa che l’agricoltura italiana non può permettersi di perdere, ma la costante riduzione dei margini di redditività fa serpeggiare la tentazione di seminare pannelli”. Per il mais – rileva Confagricoltura – su cui il maltempo ha influito negativamente si stima un crollo produttivo vicino al 17% e, riguardo ai prezzi, la previsione che non ci sia un’altra preoccupante picchiata, come nel periodo tra ottobre e marzo scorsi, resta tutta da verificare. Scenario analogo per il grano duro che oggi non supera i 154 euro alla tonnellata (erano 210 euro nel 2009) con un calo del 26% a fronte di una diminuzione dei costi di produzione che non va oltre il 4%. Se gli agricoltori non hanno ancora abdicato dal diritto-dovere di garantire prima di tutto la base per alimentare i cittadini italiani e le industrie nazionali di trasformazione – sottolinea l’associazione degli imprenditori agricoli – è dovuto solo alla capacità, alla costanza, e alla tenacia che fa trovare loro la forza di non chiudere le aziende e di non cederle.