Mentre 3 litri su 4 sono stranieri e senza indicazione di origine le nostre stalle sono costrette a chiudere.In Emilia Romagna la diminuzione nella produzione di latte, rispetto alla scorsa campagna, ha toccato quasi l’1%. Questo è uno dei dati preoccupanti rilevati dagli uffici nazionali di Coldiretti. "Se si pensa che nell’ultimo anno, commenta il presidente di Coldiretti Piacenza Luigi Bisi, sono arrivati in Italia dall’estero ben 1,3 miliardi di litri di latte sterile, 86 milioni di chili di cagliate e 130 milioni di chili di polvere di latte di cui circa 15 milioni di chili di caseina utilizzati in latticini e formaggi, il risultato è che tre cartoni di latte a lunga conservazione, su quattro venduti nel nostro Paese, sono stranieri e la metà delle mozzarelle sono prodotte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa."Mentre in Italia la produzione lattiero casearia nazionale è giustamente impegnata su alti standard di qualità, che impongono costi maggiori e legittimano prezzi adeguati, dall’estero entra prodotto frutto delle più grossolane contraffazioni. "Un fenomeno, che oggi causa una continua chiusura delle stalle italiane; un altro dato su cui riflettere, continua Bisi è che nel corso degli ultimi 25 anni il prezzo del latte è andato riducendosi sempre di più a fronte di una impennata dei costi di produzione, fino ad arrivare oggi ad un prezzo alla stalla che si aggira attorno ai 30 centesimi al litro, a fronte di costi di produzione che arrivano ormai a oltre 40 centesimi. Pertanto nonostante lo stop della commissione europea relativa all’indicazione obbligatoria dell’origine per il latte a lunga conservazione e per i formaggi, noi continueremo la battaglia a difesa degli allevamenti italiani e dei consumatori. L’esperienza ci insegna che le giuste battaglie per la trasparenza richiedono anni per essere vinte, ma alla fine anche in Europa dovrà prevalere l’interesse dei cittadini rispetto a quello di quanti vogliono continuare a fare affari vendendo come italiano quello che non è. Ciò detto, non riesco a capire perché chi va a comprare latte o prodotti lattiero caseari non debba conoscerne la provenienza. Vorrei che fosse chiaro una volta per tutte che la filiera corta non comincia con le industrie agroalimentari per finire con la grande distribuzione, ma parte dai produttori e arriva fino ai consumatori. Prima di tutto vengono la trasparenza e la tutela della salute dei cittadini che, per quel che riguarda il latte e i formaggi di largo consumo, sono spesso i bambini; allo stesso modo gli allevatori hanno diritto di poter far valere l’identità e la qualità che ogni mattina con il loro lavoro garantiscono ai consumatori. Questo è possibile solo se i primi sanno degli altri. Ciò non toglie che tutti potranno continuare a produrre con il latte che preferiscono purché lo comunichino in modo trasparente.Coldiretti vuole scommettere sul futuro della filiera latte, creando condizioni di stabilità che possono permettere ai nostri imprenditori di continuare ad investire nel settore. Se si vuole veramente aiutare la zootecnia da latte servono misure di intervento strutturali per la trasparenza. Da tutto questo emerge chiaramente, conclude Bisi, come la strada segnata dalla nostra Organizzazione per recuperare valore all’impresa di allevamento tramite una filiera tutta italiana e tutta agricola firmata dagli stessi allevatori, rimanga come l’unico percorso possibile per dare reddito alle imprese agricole, reddito che attualmente va in tasca ad altri attori della filiera; quegli stessi attori che sostengono l’inutilità dell’indicazione obbligatoria dell’origine perché lesiva della concorrenza."