Nella giornata dedicata alla commemorazione delle vittime del nazismo emerge una storia tutta piacentina di memoria negata. E’ la storia di Tino Gardella, pensionato settantenne, che da anni lotta per riuscire a riportare a casa le spoglie di suo padre Pietro morto in un campo di lavoro a Hennigsdorf alle porte di Berlino. Pietro Gardella era un giovane soldato italiano di ritorno dall’Albania, dopo l’armistizio. Riuscì, insieme ad altri commilitoni, a tornare clandestinamente in Italia, in buona parte a piedi, altre volte salendo su treni. Arrivò ad un passo da casa. A Bologna salì di nascosto su una tradotta diretta vesto nord. Ma la sorte non gli permise di riabbracciare i suoi cari. Il treno venne fermato dalle S.S. nelle campagne di Reggio Emilia. Tanti suoi compagni caddero sotto i colpi di fucile dei militari tedeschi. Altri come lui vennero deportati in Germania, manodopera gratuita ideale per dar vigore all’industria bellica del Führer. Pietro Gardella si consumò, giorno dopo giorno, costretto a spaccare pietre in una cava. Gli stenti di quella tremenda schiavitù riuscirono ad avere la meglio su un fisico robusto, su un uomo alto quasi un metro e novanta. Gardella ebbe il coraggio di scrivere a sua moglie raccontando quanto gli stava accadendo: piccoli spaccati di quella vita brutale a cui i nazisti avevano ridotto lui e altri italiani. Descrisse gli alberi del campo senza corteccia perché i prigionieri affamati si erano nutriti anche con quella. Raccontò, quasi felice, il Natale del 1944 quando riuscì a trafugare alcune bucce di patata e a cucinarsi una zuppa, mettendo a tacere per un po’ i morsi della fame. Quando morì pesava non più di 40 chili. Quelle lettere di prigionia del padre il signor Tino le poté leggere una volta diventato grande, quando la madre non potè più tenergliele nascoste. Da allora cercò di raccogliere informazioni, utili per rintracciare le spoglie paterne. Anni di ricerca che imboccarono la giusta direzione grazie ad guida tedesca membro del centro Simon Wiesenthal, l’organizzazione impegnata nella caccia dei gerarchi nazisti. Pietro Gardella era stato sepolto insieme ad altri 11 commilitoni (quasi tutti originari di Piacenza e dintorni) in una fossa comune, nella pineta, vicino a quello che era il campo di internamento. La tomba è indicata da una semplice lapide riciclata sul cui retro è stato inciso in tedesco "Ai caduti della Patria" tradotto in italiano solo dopo le proteste proprio di Tino Gardella una volta trovata la fossa. Da quel giorno la sua missione è stata quella di far tornare a casa le spoglie paterne ma fino ad oggi non vi è mai riuscito. Quest’oggi ha raccontato la sua storia a Radiosound e forse il suo desiderio potrebbe concretizzarsi grazie anche all’intervento dell’onorevole piacentino Massimo Polledri che, informato della vicenda, ha già messo in moto la macchina parlamentare e governativa. Si spera, con il suo aiuto, di riuscire a restituire, 60 anni dopo, quelle spoglie alle loro famiglie. C.T.