Nella ricorrenza che celebra, sottolineandone il legame profondo e carico di significati, la Festa dell’Unità Nazionale e la Giornata delle Forze Armate, anche Piacenza rende il proprio tributo ai Caduti e percepisce, nell’ufficialità della cerimonia odierna, la riscoperta di un’identità condivisa, plasmata dalla storia del nostro Paese. Sono trascorsi 91 anni, da quel 4 novembre del 1918 che segnò l’esito vittorioso della I Guerra Mondiale, ma dalla rievocazione di quell’evento non derivano proclami trionfalistici, né anacronistiche affermazioni di retorica; al contrario, oggi più che mai si tratta di una manifestazione che può aiutarci a riflettere sul fatto che, come ha rimarcato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, "la libera competizione sociale e la politica democratica, il libero esercizio dei diritti individuali e collettivi, compreso quello al dissenso e all’opposizione, sono pienamente compatibili con il senso di appartenenza alla comunità nazionale". E’ infatti, questa, la giornata in cui si definisce l’ideale della Patria non come simbolo astratto o vacuo, ma in quanto espressione piena e consapevole della nostra Repubblica, che l’articolo 5 della Costituzione sancisce come "una e indivisibile". Ed è nel contempo l’occasione, istituzionale e allo stesso modo intesa come patrimonio collettivo di memoria e impegno civile, in cui l’Italia si stringe intorno al ricordo di coloro che, nel nome di quello stesso ideale o nello svolgimento del proprio servizio, indossando una divisa, hanno perso la vita.Oggi si riconosce, pubblicamente e con doverosa solennità, quello che il Capo dello Stato ha definito il "debito inestinguibile" della nazione nei confronti delle centinaia di migliaia di uomini e donne che, tracciando il cammino del Paese verso l’indipendenza e la democrazia, hanno pagato il prezzo del sacrificio più grande. E, in un parallelismo che trascende epoche e distanze, rendiamo onore con la stessa, sincera commozione al coraggio e all’umanità con cui i nostri militari affrontano, in prima linea tra le forze internazionali, importanti missioni di peacekeeping all’estero, in contesti in cui la loro incolumità è quotidianamente a rischio. Il ricordo del maresciallo capo Daniele Paladini, di stanza al II Reggimento del Genio Pontieri – ucciso a pochi chilometri da Kabul nel novembre di due anni fa, in quella che doveva essere una circostanza festosa per l’inaugurazione di un nuovo ponte – si intreccia allora a quello delle vittime di Nassirya, o alle immagini, che ancora una volta hanno scosso la nostra coscienza, dei feretri dei sei paracadutisi della Folgore avvolti nella bandiera tricolore, di ritorno dall’Afghanistan, meno di due mesi fa. Il loro lavoro prezioso, discreto e lontano dai riflettori che si accendono, impietosi, ogni volta che irrompe la tragedia, è l’emblema di quel senso di responsabilità e rispetto che anche la politica è chiamata a fare proprio: la responsabilità di chi non delega sempre ad altri, di chi non arretra di fronte alle difficoltà, di chi è presente laddove più urgente se ne avverte la necessità; il rispetto della legalità e delle istituzioni, dell’Unità nazionale come fondamento e principio irrinunciabile che deve essere protetto da scontri e strumentalizzazioni.E allora, viva l’Italia, quell’Italia "con gli occhi aperti nella notte triste", come dice Francesco De Gregori nell’omonima canzone, "viva l’Italia, l’Italia che resiste".