Nel giorno in cui ricordiamo i nostri affetti più cari, coloro che non sono più accanto a noi, c’è anche una dimensione collettiva di questa ricorrenza che ci avvicina – nella condivisione della memoria – a donne, uomini, famiglie che non conosciamo. E’ la commozione sincera, il profondo senso di rispetto, la tragica consapevolezza che ci coglie nel rendere onore ai Caduti di tutte le guerre.Questa cerimonia, solenne e raccolta al tempo stesso, è per noi l’occasione di tributare, alle vittime di tutti i conflitti, l’omaggio più importante: il riconoscimento di quella dignità che, pur costituendo l’essenza e il valore imprescindibile della persona umana, viene calpestata, irrisa, offesa e violata ogni volta che il dialogo è sopraffatto dalla violenza, il confronto soffocato dall’aggressione, la libertà oppressa da ideologie che rifiutano la diversità, considerandola una minaccia.E’ con il medesimo e intenso dolore, quindi, che oggi, nell’autenticità di un’emozione più forte di qualsiasi formalità istituzionale, piangiamo i soldati che persero la vita al fronte e nel buio delle trincee della Grande guerra, i partigiani che lottarono per la democrazia durante la Resistenza, i militari italiani colpiti da barbari attentati durante le missioni di peacekeeping o le madri e i bambini di Peshawar, che tra le strade della città vecchia, mentre affollavano il mercato in un giorno apparentemente come tanti altri, hanno trovato la morte per mano di un terrorismo vile e senza volto. Lo ha sottolineato Papa Giovanni Paolo II, con parole penetranti che risuonano, a distanza di anni, come un monito per le istituzioni e la società civile: "Come al tempo delle lance e delle spade, così anche oggi, nell’era dei missili, a uccidere, prima delle armi, è il cuore dell’uomo". Ed è per questo che, nella Giornata in cui ricordiamo le vittime della guerra, non può esserci – nella commemorazione e nel suo significato storico e culturale – differenza né sfumatura alcuna.Onorare il ricordo di chi è caduto sotto i colpi di un’arma da fuoco, o sotto la pioggia indiscriminata delle bombe, spesso senza sapere chi era il nemico, o da quale parte stessero il torto e la ragione, vuol dire prendere coscienza della necessità, urgente, di una concreta cultura di pace. Intesa come tolleranza, ascolto e comprensione, come capacità di incontro e relazione, come scelta politica nella ridistribuzione di risorse e investimenti. A chiedercelo, in un silenzio carico di insegnamenti e pensieri su cui soffermarsi, sono anche i nomi e le storie dei piacentini che vennero fucilati qui, nel cimitero urbano, tra il 1944 e il 1945, simbolo di una coerenza ai propri ideali portata avanti con coraggio sino al sacrificio di sé e del proprio futuro. E, accanto a loro, le migliaia di persone che la nostra città, medaglia d’oro al valor militare, ha pianto sulle macerie di due guerre feroci e laceranti, o le vittime della Pertite, emblema, nel loro drammatico destino, di tutti le morti sul lavoro che ancora oggi, giorno dopo giorno, il nostro Paese si trova, attonito e indignato, a registrare. Quello stesso impegno, in nome dell’equità, della giustizia e del rispetto dei diritti, lo rivendicano i testimoni che la brutalità della guerra, in ogni sua forma, hanno voluto raccontarla, per contrastare una colpevole indifferenza che, nel mondo globalizzato e iperconnesso di oggi, non è più accettabile: giornaliste come Maria Grazia Cutuli, Ilaria Alpi e Anna Politkovaskaja, ci hanno dimostrato quanto il coraggio nello svolgere il proprio mestiere, tenendo fede alla verità e al rispetto della dignità di tutti i popoli, sia stato pagato a un prezzo troppo alto. Così come, negli anni folli del terrorismo che hanno insanguinato la nostra Repubblica, uomini di cultura e di diritto come Carlo Casalegno sono stati bersaglio di una ferocia inaudita, in un’epoca in cui la violenza è entrata a far parte della quotidianità. "Abbattere i muri e costruire ponti", scrisse Giorgio La Pira al ritorno da un pellegrinaggio in Medio Oriente, riflettendo sulla difficoltà estrema di raggiungere un equilibrio nei rapporti tra Israele e Palestina. Abbattere i muri – quello della diffidenza, del pregiudizio, della chiusura nei confronti di ciò che è "altro" da noi – e realizzare quel sentiero capace di unire due sponde lontane, divise. Contrapposte. E’ su queste stesse basi, in una ricorrenza come quella odierna, che diviene essenziale riflettere sul senso della vita, sulla nostra esistenza troppo spesso marchiata a fuoco da episodi di violenza che si scontrano con il bisogno ineludibile di una cultura di pace. I tanti morti che oggi ricordiamo, infatti, sono anche le vittime di una violenza contemporanea che si presenta sgranata in mille sedi, mille luoghi, mille occasioni. Perché, a differenza del passato, questa aggressività che semina morte si inscrive in un tempo incerto e instabile, in una società che fatica, di suo, a trovare e dettare valori e significati. Assistiamo inermi a frammenti di guerra in tempi di pace apparente. Lo ha scritto il politologo Ilvo Diamanti: "Questa violenza, queste vittime sparse in tanti piccoli episodi, trasmettono un dolore sordo e muto. Bisognerebbe ascoltarlo in silenzio, senza affogarlo in un mare di parole senza senso".E a un raccoglimento silenzioso affidiamo, allora, i nostri sentimenti e il valore della memoria. Grazie.