Malaika, nakupenda Malaika. Sulle note della più famosa canzone della tradizione swahili si è conclusa l’esperienza formativa delle 4 ragazze piacentine che hanno scelto il Kenya come scenario per compiere i loro primi "passi verso l’Africa". Clelia, Debora, Donata e Nicole hanno così alternato momenti di conoscenza ed approfondimento ad attività di animazione rivolte a bambini ed adolescenti, condividendo la quotidianità con le famiglie e i centri che le hanno ospitate. L’Africa rurale della Laura Children Home, che ospita bambini e bambine rimasti orfani, e quella metropolitana di Anita Home, dove vivono ragazze tolte dalla strada. Vivere in famiglia significa imparare a cucinare il chapati insieme alle bambine, mungere il latte che si berrà di lì a poco, abituarsi a una doccia fredda, organizzare una caccia al tesoro durante la gita all’orto botanico, andare a fare la spesa al mercato schiacciati su un autobus locale, esplorare le zone circostanti, entrare in una piantagione di tè o di caffè e vedere le difficoltà di chi vi lavora; ma anche attraversare la baraccopoli di Ngong, perdere tempo a chiacchierare per strada, mangiare polvere ogni volta che passa un’auto sulla strada sterrata. E poi giocare, lasciarsi intrecciare i capelli, oppure parlare fino a tarda sera della carestia che sta attraversando il paese, delle diversità culturali, o ancora ascoltare i racconti della drammatica guerra civile che ha scioccato il Kenya dopo le ultime elezioni. Viaggiare porta con sé, se si è ben disposti, l’incontro e la scoperta. Ecco allora sulla propria strada Elija Bett, che partendo da una capanna ha sviluppato un progetto basato sullo sviluppo agricolo e le energie rinnovabili, e che ora gli permette di accudire oltre 100 orfani, o padre Kizito Sesana, che diventato ormai africano di adozione ha avviato con la sua comunità locale molte iniziative a favore di giovani ed adolescenti delle periferie di Nairobi; Jack, l’educatore che passa le notti dormendo per strada a Kibera (la più grossa baraccopoli dell’East Africa) per aiutare i ragazzi che non hanno una casa, oppure Francesco, educatore italiano che ricopre per conto di Caritas il ruolo di Casco Bianco, per difendere e promuovere i diritti dei minori rinchiusi nel carcere di Kamiti. Tanti africani, incuriositi di vederci in posti in cui nè i turisti né i cooperanti di professione sono soliti andare, ed alcuni italiani, come il gruppo del Centro Studi Donati di Bologna, tra i pionieri italiani dei viaggi di conoscenza in paesi del sud del mondo, organizzati a partire dagli anni ’70 con l’obiettivo di "sprovincializzare l’università" o ancora i volontari dell’ong italiana AMANI, giovani che ogni mese di agosto si impegnano ad animare i centri per ragazzi di strada promossi da padre Kizito e dalla sua associazione Koinonia.Infine luoghi: dalla scenografica Rift Valley, cui si fa risalire la comparsa dei nostri antenati, alla baraccopoli di Kibera, congestionata città nella città, costruita in lamiera e prova scandalosa delle moderne disuguaglianze urbane. Dal Nakumatt, colossale centro commerciale con filiali in tutto il Kenya, a piccole drogherie di quartiere, dove nel ristretto spazio di poco si trova davvero tutto l’indispensabile. Poi i grattacieli del centro città, le lunghe file di auto, il caos della stazione degli autobus, la pace di una piccola chiesa costruita dai prigionieri di guerra italiani che furono bloccati dagli inglesi, le baracche che vendono frittelle, pannocchie e ogni altro cibo cucinato quasi per terra e sul momento. Incontri, profumi e sapori di un’Africa dai mille volti che si è lasciata conoscere un po’ di più dal gruppo piacentino (che ringrazia la città per la solidarietà dimostrata, che ha permesso di raccogliere quasi 2000 euro, consegnati direttamente ai responsabili dei vari centri per minori, e destinati in particolare al sostegno dell’istruzione scolastica secondaria). Resta ora l’impegno più difficile, su cui occorre lavorare: rendere questa esperienza così ricca un tesoro quotidiano. In qualunque delle forme che la vita sceglierà per noi. Già a partire dall’università, che è il prossimo scoglio per Clelia, Debora, Donata e Nicole. Ricordando l’invito del grande predicatore francese Bossuet, che oggi ci viene chiesto anche dai tanti giovani che abitano nelle strade del Kenya: "sia maledetta la Scienza che non si trasforma in amore"